Fondazione Marisa Bellisario

INCASTRO GEOPOLITICO ED EFFETTI COLLATERALI

di Ornella del Guasto*

Finalmente è arrivata la tanto attesa telefonata tra Trump e Putin, il cui risultato però si è dimostrato al di sotto delle aspettative. Vladimir Putin ha accettato la tregua dei bombardamenti riferita esclusivamente agli impianti energetici e il prosieguo dei negoziati a patto però che portino a una pace duratura e insistendo nel solito refrain: no all’ingresso dell’Ucraina nella NATO e stop delle forniture americane di armi all’Ucraina. Per Zelenski il presidente russo sta soltanto cercando di guadagnare tempo e vuole semplicemente la sconfitta totale della controparte. E così i bombardamenti da entrambe le parti proseguono.

Mentre sulla scena geopolitica gli eventi sembrano precipitare e poco dopo vengono rimessi in discussione lasciando spettatori e interlocutori smarriti, ci si domanda cosa ci sia veramente dietro l’improvvisa empatia tra Washington e Mosca? Oltre le intuibili ricadute economiche e strategiche dall’accesso alle risorse ucraine c’è infatti per gli USA un disegno favorevole prodotto da questa amicizia e cioè l’occasione di poter finalmente centrare l’obiettivo più ambito: fermare la Cina. In cambio anche Putin sta ottenendo più di quanto lui e altri massimi dirigenti abbiano mai sognato, sostiene Calder Walton della Kennedy School of Government di Harvard, che ha scritto un libro sulla storia dello spionaggio tra Russia e Stati Uniti, “lo smantellamento sotto i nostri occhi dell’ordine internazionale guidato dagli Stati Uniti”. USA e Russia non a caso si fanno un favore reciproco. La protezione americana infatti non solo restituisce protagonismo a Mosca alleggerendole la pesante tutela della Cina che da tempo l’ha confinata nel ruolo di junior partner mentre di rimando l’eventuale allentamento dei suoi legami con Pechino, facilita la possibilità per l’America di bloccare i tentativi cinesi di cercare di scalzarla dalla leadership del mondo. La Cina senza dubbio ha tratto grandi vantaggi in questi anni dall’isolamento russo per cui se Trump riuscisse a scardinare questa sommessa dipendenza, Pechino non solo perderebbe un alleato strategico ma si troverebbe indebolita nella sua competizione con Washington. Per questo oggi Trump cerca sommessamente di compiacere la Russia che, grazie alla sopravvenuta benevolenza americana, vede concretizzarsi la prospettiva di rientrare nei mercati globali mentre di rimando l’indebolimento dell’asse Mosca–Pechino avrebbe altre ricadute tutt’altro che trascurabili perché limiterebbero il sostegno russo a Iran e Corea del Nord e rafforzerebbero la posizione americana in Asia.

Non a caso, anche la Cina osserva con inquietudine il segnale di riavvicinamento tra Mosca e gli Stati Uniti tanto che ha sommessamente avviato un discreto corteggiamento con l’Europa dopo che la Commissione europea, preoccupata dalle possibili ripercussioni di futuri dazi americani sui prodotti europei, ha cominciato a fare aperture commerciali verso Pechino. C’è però un rischio: Trump certamente non sbaglia quando punta sull’allontanamento della Russia da Pechino dato che fino ad oggi riceve da Mosca gas e petrolio a bassissimo mentre un’eventuale rottura sposterebbe le forniture a favore del mercato europeo lasciando a secco le industrie cinesi. Consapevole di avere quest’arma di ricatto infatti Mosca sta già studiando la riattivazione del gasdotto North Stream tra Russia e Germania misteriosamente danneggiato due anni fa.

In un mondo in vertiginoso movimento Trump con mosse apparentemente scomposte in realtà, da solo o con gli alleati, sta cercando di sistemare i tasselli del puzzle che gli interessa e per questo vuole liberarsi dell’Europa che così sarà costretta a difendersi da sola mentre lui potrà concentrare l’attenzione in altre aree del mondo dove le trasformazioni geopolitiche corrono pericolosamente ancora più veloci: nel Medio Oriente e nell’Indo-Pacifico dove si stanno aprendo opportunità e dove vuole allargare l’influenza americana.

Il Medio Oriente è in fiamme: Israele ha ripreso a bombardare Gaza dopo il rifiuto di Hamas di rilasciare gli ultimi prigionieri segnando la rottura della tregua cominciata in gennaio. “Attacchi a scopo preventivo che continueranno finché necessario” – ha anticipato Tel Aviv -. Sono ripresi anche i bombardamenti americani sullo Yemen dopo gli attacchi degli Houti alle sue navi nel mar Rosso e la Siria oggi, dopo appena 3 mesi dal colpo di stato che ha messo fine alla dittatura di Assad, è diventata una polveriera sconvolta da una sanguinosa guerra civile del nuovo regime contro la minoranza sciita alawita che sosteneva il precedente regime. E non solo: l’arrivo al potere del sunnita al-Jolani sta aprendo la strada a USA, Israele e paesi sunniti del Golfo (in primis Arabia Saudita) per poter minacciare direttamente Teheran e il suo arsenale nucleare. Il regime di Bashar Assad era appoggiato da Cina e Russia e per questo soprattutto per Mosca la sua fine diventa fonte di preoccupazione dato che le impone la necessità di trovare nella regione altre direzioni. Gli analisti infatti in questi ultimi tempi stanno rilevando uno spostamento del baricentro della presenza russa nelle coste del Nord Africa e del Sahel-Sahariano per cercare di salvaguardare il porto siriano di Tartus la cui gestione era stata concessa a suo tempo dagli Assad a Mosca. Tartus infatti è strategico per la Russia perché punto di arrivo dei flussi migratori e delle merci provenienti dall’Africa.

Per questo da tempo la crescente influenza russa sulla riva Sud del Mediterraneo, unita alla turbolenta frammentazione politica in Libia, sta diventando un dossier cruciale per la sicurezza dell’Europa che sta cercando formule per contenerla. Non a caso nel quadro si è subito affacciato Erdogan che, fiutando la debolezza dell’UE, si è rivolto a Bruxelles proponendosi come alleato sul dossier Ucraina e mettendo a disposizione una truppa consistente dei suoi soldati. Una strategia che ha un obiettivo preciso: portare la Turchia all’interno dell’Unione europea perché secondo Ankara “stabilire una sicurezza europea in assenza della Turchia è inconcepibile”. Invece, Pechino coglie l’occasione della distrazione strategica in Occidente e, per non perdere di vista il pericolo delle ambizioni americane nei suoi confronti, proprio nel Pacifico non demorde nella riproposizione del tradizionale mantra: “andiamo avanti con fermezza sulla riunificazione di Taiwan alla madrepatria opponendoci alle interferenze esterne”. Con la proverbiale lucidità cinese si sta da tempo preparando a un’eventuale risposta e intanto per farsi intendere meglio, da mesi, si sta posizionando nell’immensa area, dove crescono anche le ambizioni dell’India. Intanto ha anche installato basi missilistiche nel sud Pacifico sugli atolli deserti delle Spratly e ha aumentato nell’oceano la presenza delle sue navi da guerra che di recente hanno svolto esercitazioni davanti alle coste dell’Australia incurante delle proteste di Canberra “in quanto pacifiche manovre consentite dal diritto marittimo internazionale”.

Quindi nel caos dell’attuale quadro geopolitico, in ininterrotta mutazione, tutte le parti del mondo stanno diventando per varie vie interdipendenti producendo effetti collaterali, da cui potrebbero innescarsi presto nuove storie e nuove minacce. Che nessuno si augura

*Political and socio-economic analyst

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2 commenti su “INCASTRO GEOPOLITICO ED EFFETTI COLLATERALI”

  1. Elena Pietrogrande

    Grazie Ornella,
    un’analisi ampia, che permette di comprendere meglio la situazione mondiale, tutt’altro che rassicurante.
    Elena

  2. Thanks forr a marvelous posting! I genuinely enjoyed reading it, you’re a great author.

    I wiol mak suhre to boookmark yojr log aand wll comne
    back very soon. I want too encouraqge you to conhtinue yopur great work,
    have a nice day!

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