di Laura Luigia Martini*
Secondo l’Energy Information Administration (EIA), la principale agenzia che in USA raccoglie, analizza e diffonde informazioni sull’energia, i consumi globali di quest’ultima sono destinati a una crescita costante fino al 2050, superando i progressi in termini di efficienza energetica e determinando un aumento delle emissioni di gas serra nell’atmosfera. Nell’ambito della sostenibilità e senza dimenticare gli avanzati studi sui reattori a fissione di terza e quarta generazione, in campo nucleare è dunque importante accelerare il percorso di industrializzazione verso quello che è il vero futuro dell’energia del mondo, e che potrebbe non essere così lontano: la fusione nucleare.
Le nostre attuali centrali nucleari implementano il processo di fissione, ovvero la scissione del nucleo di un atomo pesante come l’uranio, elemento tossico e radioattivo, bombardato da neutroni. In un contesto molto più sicuro rispetto al passato, anche le centrali di nuova generazione o i reattori modulari utilizzano lo stesso combustibile, o al limite una miscela detta MOX, costituita da uranio impoverito e plutonio. Con fusione nucleare intendiamo invece la stessa reazione che alimenta il Sole e le altre stelle, quella reazione in cui due o più atomi leggeri (elementi fino a numeri atomici 26 e 28) vengono combinati tra loro formando il nucleo di un elemento più pesante. La massa del nucleo prodotto della reazione è tuttavia minore della somma delle masse dei due nuclei reagenti, per cui si parla di reazione esotermica, che rilascia calore, e la massa “mancante” viene emessa sotto forma di energia, rispondendo all’equazione di Einstein E=mc2, dove E indica l’energia, m la massa e c la velocità della luce nel vuoto. Essendo formati da protoni e neutroni, i nuclei atomici hanno carica positiva e tendono naturalmente a respingersi, con i nuclei leggeri che si fondono più facilmente essendo inferiore la repulsione elettromagnetica da vincere per avvicinarli. Ecco perché l’idrogeno, l’elemento più diffuso nell’universo, è anche il miglior combustibile nucleare da fusione. Nel sole, la cui temperatura interna è di 14 milioni di gradi, avviene un processo di fusione detto “nucleosintesi stellare”, una serie di reazioni esotermiche in cui i nuclei di idrogeno si fondono per formare isotopi di elio, processo responsabile di gran parte dell’energia irradiata sotto forma di calore e di luce, facendo risplendere le stelle nel buio ed evitandone il collasso gravitazionale. Come ben riassunto dal MASE, per generare in laboratorio la reazione di fusione nucleare è necessario che i due nuclei leggeri si urtino ad altissima velocità e temperatura. Un esempio tipico è quello che coinvolge il deuterio, che si ricava dall’acqua di mare, e il trizio che si estrae direttamente dal litio nel reattore. Nella collisione i due isotopi dell’idrogeno devono raggiungere la temperatura di 100 milioni di gradi e mantenerla per tempi sufficientemente lunghi. Ma a tali temperature le particelle tendono a subire un processo di dissociazione fino a scomporsi in ioni ed elettroni, risultando in un gas ionizzato globalmente neutro detto “plasma”, o quarto stato della materia, il principale costituente delle stelle. Dunque, in una reazione di fusione controllata, con bilancio energetico positivo, è necessario che il plasma sia confinato in uno spazio limitato per un tempo sufficientemente lungo a 100 milioni di gradi. Cosa non semplice, ma solo in tal modo l’energia liberata dalla reazione sarà in grado di compensare le perdite e l’energia usata per innescare la reazione medesima. Si tratta del “confinamento magnetico”, ove le particelle sono costrette a seguire traiettorie a spirale intorno alle linee di forza del campo magnetico e viene impedito il contatto del plasma con le pareti. Il dispositivo a forma toroidale che funge da involucro per il confinamento magnetico è denominato tokamak. L’altra metodologia disponibile per ottenere una reazione di fusione è detta “a confinamento inerziale”. La maggiore struttura dedicata a questo tipo di esperimenti è la National Ignition Facility (NIF) presso il Laboratorio di Livermore in California, progetto nato per testare armi nucleari, simulandone le esplosioni e successivamente destinato alla ricerca avanzata sulla fusione nucleare tramite laser. La fusione a confinamento inerziale prevede la compressione e il riscaldamento del combustibile (deuterio e trizio) nella forma di una micro-sferula solida. L’energia per la compressione e il riscaldamento viene fornita in genere bombardando esternamente la micro-sferula con fasci di luce laser. Il meccanismo di “implosione” della capsula porta a una microesplosione fisicamente analoga a quella di un’arma a fusione nucleare, con la differenza che l’energia di innesco al NIF è fornita dai laser, mentre la bomba H è innescata da una piccola bomba a fissione. Ebbene, il 5 dicembre 2022 un gruppo di ricercatori di Livermore annunciano al mondo di aver realizzato per la prima volta una fusione a confinamento inerziale con bilancio energetico positivo, i 2,05 MJ forniti al target hanno infatti generato 3,15 MJ di energia. E tuttavia, per alimentare i 192 laser, sono serviti 300 MJ di energia, il che porta il bilancio energetico complessivo del sistema ad essere estremamente negativo: un processo ancora inefficiente, come sottolinea l’Economist. Dunque, pur trattandosi di un risultato scientifico di grande rilevanza, a cui è stata data giusta risonanza da parte del governo statunitense, il maggior ostacolo alla fusione a confinamento inerziale con laser, finalizzata a scopi civili, è il break-even ingegneristico.In entrambi gli approcci, la fusione termonucleare ha una densità energetica molto alta, il che consente di generare una grande quantità di energia con risorse limitate.
Diversi sono inoltre i fattori intrinseci di sicurezza: così come le reazioni di fusione non lasciano scorie, analogamente la quantità di combustibile presente nella camera di reazione è estremamente limitata, il che rende impossibile qualsiasi forma di reazione a catena per cui, in caso di malfunzionamento, il plasma presente nella camera semplicemente si spegne. Insomma, sebbene al momento i reattori nucleari a fusione esistenti siano sperimentali e consumino più energia di quella che producono, la vera driving force della costosissima ricerca sulla fusione è quella di produrre energia pulita, sicura e in quantità illimitata per soddisfare le necessità delle generazioni future, utilizzando elementi disponibili con abbondanza in natura.
La ricerca sulla fusione e sulla fisica del plasma viene svolta in più di 50 paesi, in primis USA e Cina, ma l’Italia c’è. Il nostro Paese ha un ruolo di primo piano nella realizzazione dei componenti utili a realizzare gli impianti. Come illustrato dallo stesso premier, Giorgia Meloni, durante il vertice COP29, «l’Italia è impegnata in prima linea sul nucleare da fusione». In Italia è infatti attivo il DTT (Divertor Tokamak Test), un esperimento di fusione in costruzione presso il Centro Ricerche ENEA di Frascati, un impianto da mezzo miliardo di euro, previsto dalla Road Map europea. Parallelamente è in corso di realizzazione a Cadarache, nel sud della Francia, il progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), un progetto internazionale che prevede la realizzazione del più grande tokamak del mondo, progettato per produrre 500 MW di potenza di fusione da 50 MW di potenza dal combustibile in ingresso, il che corrisponde ad un fattore di guadagno energetico da fusione Q=10.
Al progetto stanno lavorando 33 Paesi diversi (i fondatori sono Cina, Unione Europea, India, Giappone, Corea, Russia e Stati Uniti) e la messa a fattor comune delle conoscenze scientifiche di numerosi Paesi genera sempre grandi speranze di successo, ma in questo caso la solidarietà tra soggetti diversi è anche economica, poiché ingenti sono i finanziamenti privati a sostegno degli investimenti pubblici nelle ricerche sulla fusione nucleare.
Concludo. Modellare l’impatto dell’energia da fusione, che è stata paragonata alla scoperta del fuoco e definita “l’ultima fonte di energia di cui l’umanità avrà mai bisogno”, è impegnativo, ma scienza e mercati ci suggeriscono la potenza dirompente di questa tecnologia e fino a che punto potrebbe sconvolgere l’economia del pianeta. Così il mondo si sta impegnando in questa impresa, utilizzando tutto ciò che le nuove tecnologie mettono a disposizione – basti ricordare che, con l’ausilio dell’AI, recentemente gli scienziati hanno potuto prevedere la lacerazione del plasma nel reattore tokamak DIII-D presso il National Fusion Facility di San Diego.
Questo a dimostrazione che la fiducia nella riuscita deve guidarci, la stessa fiducia che ritroviamo nelle parole di Thomas Edison: “quando alla fine ho deciso che un risultato vale la pena di essere ottenuto, mi metto al lavoro e provo e riprovo finché non arriva”.
*Nuclear Engineer, SDA Bocconi Senior Executive Fellow
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