di Monica Lucarelli*
Ci sono leggi la cui storia conosciamo poco. Non si studiano abbastanza, non si raccontano a sufficienza, non si narra il contesto in cui sono nate. Eppure hanno inciso profondamente nella nostra storia. Sono leggi scritte da donne, pensate da donne, volute da donne. E proprio per questo, troppo spesso, sono state archiviate come battaglie di parte. Ma non lo sono. Le leggi delle donne hanno trasformato l’Italia. L’hanno fatta crescere. Hanno reso questo Paese più giusto, più equo, più democratico.
La legge Merlin del 1958, voluta da Lina Merlin, ha rotto il legame tra Stato e sfruttamento, liberando le donne dalla mercificazione istituzionalizzata del loro corpo.
La legge sul divorzio del 1970, sostenuta da Loris Fortuna e Adele Faccio, ha dato libertà dove prima c’era solo obbligo.
La riforma del diritto di famiglia del 1975, promossa da Tina Anselmi e altre parlamentari, ha corretto un’asimmetria antica, ponendo fine alla supremazia del marito.
La legge 194 del 1978, fortemente sostenuta da Emma Bonino, ha posto fine all’ipocrisia e restituito autonomia alle donne nel decidere sul proprio corpo.
La legge 903 del 1977, firmata da Tina Anselmi, ha sancito la parità nel lavoro, rendendo concreto il principio costituzionale di uguaglianza.
E poi ci sono le leggi sull’infanzia e sull’istruzione, come la 285 del 1997, e quelle sull’accesso alle professioni, nate dalla volontà di includere, aprire, rimuovere barriere.
Tutte figlie della stessa domanda: è davvero giusto così?
Nel 2011 è arrivata la legge Golfo-Mosca. Ha imposto una svolta nei consigli di amministrazione delle società quotate. Non un atto simbolico, ma una scelta netta. Ha detto che l’equilibrio di genere non è un premio, ma un principio. Che la competenza va riconosciuta, non elemosinata. Che il talento femminile non è un’eccezione da tollerare, ma una risorsa da coltivare.
Quella legge ha fatto rumore. Ha costretto molti a guardare in faccia la realtà: la selezione spesso esclude per abitudine, non per merito. Da allora qualcosa è cambiato. Ma non abbastanza. Le donne sono entrate nei board, ma non sempre contano davvero. Troppo spesso si fermano sulla soglia del potere reale. Deleghe assenti, ruoli marginali, ascolto intermittente. Come se la presenza fosse sufficiente a garantire l’influenza. Non è così.
La leadership non è un fatto anagrafico, è un atto di responsabilità. E la leadership femminile porta visione, concretezza, cura, attenzione al lungo periodo. È una leadership che connette, che ascolta, che trasforma. Ma ha bisogno di fiducia, autonomia, legittimazione. Non può essere il risultato di un’eccezione. Deve diventare parte della normalità.
A Roma stiamo cercando di costruire questa normalità. La certificazione della parità di genere per Roma Capitale è un punto di partenza. Abbiamo introdotto nuovi criteri per gli appalti, rivisto i processi di selezione, promosso un’idea di governance più giusta. Non lo facciamo per aderire a un modello. Lo facciamo perché crediamo che una città che valorizza le donne sia una città che funziona meglio per tutti e tutte.
Ma serve anche memoria. Serve sapere da dove veniamo. Le ragazze devono conoscere le leggi che le hanno precedute. Devono conoscere i propri diritti, devono sapere che ogni diritto che oggi appare scontato è stato prima conquistato, che ci sono state delle battaglie e che oggi hanno un compito: difendere ogni conquista, conoscerla affinché i diritti non siano negoziabili. Nessuna conquista è definitiva. Parlare di queste leggi significa farne cultura, farle entrare nella nostra vita. Farle vivere nel presente. Tenerle aperte al futuro. Una società più consapevole è una società più forte.
E serve anche un patto tra generazioni. Un’alleanza tra chi ha aperto la strada e chi oggi cammina. Tra chi ha fatto le leggi e chi ne eredita la forza e i diritti che portano con sè. Solo così quel cambiamento sarà davvero irreversibile.
Le leggi delle donne non sono un capitolo minore della nostra storia. Sono una bussola. Dicono chi siamo. E, soprattutto, chi possiamo diventare.
Per questo invito tutte e tutti a leggere il libro “Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia”. Non è solo un elenco di norme. È un racconto di libertà, di riflessione. Un patrimonio che ci impegna a riflettere e agire. Perché ora tocca a tutte noi continuare a scrivere questa storia.
*Assessora alle Attività Produttive e Pari Opportunità di Roma Capitale
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