Fondazione Marisa Bellisario

La pubblicità non ama le donne

In Svezia le associazioni dei consumatori hanno accusato di sessismo la catena di abbigliamento statunitense American Apparel, fondata a Montreal e con punti vendita in tutto il mondo. L’accusa è stata sollevata da Emelie Eriksson, una blogger di ventiquattro anni, che ha confrontato le pubblicità maschili e femminili della casa di moda. Ciò che emerge dal confronto è evidente: al fine di pubblicizzare il medesimo capo di abbigliamento unisex, gli uomini sono sempre vestiti e le donne sono sempre svestite. Dalle autorità svedesi non è arrivata nessuna condanna, poiché non rientra nella loro giurisdizione oscurare il sito della American Apparel, non avendo, questa, un dominio registrato in Svezia. Lo scorso mese, alcune pubblicità della stessa casa di moda sono state bandite dal Regno Unito per la loro eccessiva volgarità, giudicata offensiva per le donne.

In realtà, come suggerisce Annamaria Testa sul suo blog, la pubblicità sessista non riguarda solo i corpi nudi, ma è quella che riduce la donna a uno stereotipo. Nel nostro Paese cosa si è fatto per contrastare questa idea che la pubblicità così com’è vada bene e la gente provi piacere a guardarla? Nel 2011 l’ADCI, l’Art Directors Club Italiano, ha redatto e reso pubblico un manifesto nel quale invita a progettare campagne pubblicitarie che siano non volgari, rispettose e pulite e che non usino il corpo come oggetto da accostare a prodotti. Questo intervento ha rappresentato un passo importante, ma non in grado di ostacolare la pubblicità dannosa. L’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria – IAP- ha firmato un accordo con il Ministero delle Pari Opportunità affinchè un organo giudicante ad hoc, il giurì della pubblicità, possa intervenire in tempi rapidi, interrompendo le campagne sessite. Sebbene, il suddetto giurì abbia ottenuto molti successi, interviene eliminando la pubblicità dai mezzi di comunicazione tradizionali, mentre la stessa pubblicità può continuare facilmente a diffondersi online. Nel frattempo, sempre l’ADCI, ha lanciato un’importante raccolta di firme online contro la diffusione di stereotipi di genere e a favore del recepimento, da parte della legge italiana, delle indicazioni europee del 2008, intitolate Impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini; un passo in più verso il cambiamento.

Carmen Buono

8 commenti su “La pubblicità non ama le donne”

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