Fondazione Marisa Bellisario

Il Giappone chiede più spazio al top per le donne

Financial Times informa che il 19 aprile il premier giapponese Shinzo Abe ha chiesto alle grandi compagnie nazionali di aumentare la partecipazione femminile nei Cda sollecitando ciascuna a prevedere la presenza di almeno una donna al vertice. La richiesta di Abe fa parte delle numerose riforme che saranno prese dal governo per rilanciare la stagnante economia nipponica. In Giappone solo il 15% delle compagnie ha una donna executive (non che anche in Europa la loro partecipazione brilli poiché nel complesso delle compagnie continentali la loro presenza raggiunge a stento il 14%) e il Premier spera così di fermare il declino della forza lavoro che ha ridotto la produzione e le finanze pubbliche. Sulle proposte del Governo si aspettano ulteriori dettagli a giugno. Kathy Matsui, strategist di Goldman Sachs, ha accolto con compiacimento la proposta anticipando però che un aumento del relativamente basso tasso d’impiego femminile produrrà profondi cambiamenti nella politica, nella cultura industriale e nei comportamenti sociali del Giappone. In uno studio 2010 la Matsui ha calcolato che se l’occupazione femminile sarà portata all’80% di quella degli uomini, la forza lavoro giapponese raggiungerebbe gli 8,2 milioni e il PIL aumenterebbe del 15%. Oggi solo un terzo delle madri giapponesi lavora rispetto al 50% degli USA, il 60% di Gran Bretagna e Germania e i ¾ di Svezia. E’ un fatto che Japan Airlines e Panasonic hanno anticipato i tempi e attirato l’attenzione dei media mettendo nei Cda per la prima volta una donna. Ma la proposta di Abe segna in ogni caso un profondo cambiamento dell’atteggiamento tradizionalmente conservatore del partito Liberaldemocratico che per anni  ha considerato le ambizioni  di carriera della donna come socialmente corrosive  e causa del basso tasso di natalità giapponese tanto che un ministro della Salute è stato accusato di considerare le donne solo come una “macchina di riproduzione”. La Matsui è perciò molto soddisfatta di questo cambiamento perché, dice, è la prima volta che un’Amministrazione giapponese sta dibattendo così a lungo sull’occupazione femminile.

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