Fondazione Marisa Bellisario

IL FEMMINISMO DI ABE RICHIEDE UN CAMBIAMENTO RIVOLUZIONARIO

di Ornella Del Guasto

La forza lavoro femminile giapponese è la risorsa più sottoutilizzata. Ne è convinto il premier Shinzo Abe e lo ha detto ufficialmente a Davos al World Economic Forum il mese scorso, affermando che la produzione del Giappone aumenterebbe del 16% se le donne lavorassero quanto gli uomini. Financial Times rammenta le sue parole: “sono determinato a incoraggiarle a rompere il tetto di cristallo e mi impegnerò a preparare l’architettura perché questo avvenga”. Poiché l’età della popolazione giapponese invecchia di pari passo con il calo demografico, gli anziani che dirigono il Paese si sono ormai resi conto di aver più bisogno delle donne di quanto avessero ritenuto.
Fino ad oggi però in Giappone le donne fanno tutto: dovrebbero avere più bambini perché il tasso di natalità è sceso all’1,4% rispetto al 2,1% necessario a ringiovanire la popolazione, devono occuparsi di loro perché i nidi e le scuole materne sono assolutamente insufficienti, devono occuparsi spesso dei genitori dato che l’11% della popolazione giapponese ha superato i 75 anni, ma non possono contare né su badanti né su baby sitter come negli altri Paesi perché sono scoraggiate dalla cultura e dalle leggi che impediscono l’immigrazione. Adesso secondo il governo vuole che lavorino a tempo pieno, ma è chiaro che è impossibile fare tutto contemporaneamente per cui gli analisti si chiedono incuriositi cosa intenda Abe per “architettura amica della donne”. Infatti se le cose resteranno come oggi la tendenza sarà invece che le donne si sposeranno più tardi e faranno meno figli. Eppure negli ultimi anni la forza lavoro femminile era aumentato tanto che, in base ai dati OCSE, le giapponesi tra i 15 e i 65 anni lavoravano per il 63%, un punto in più della media OCSE del 62% ma meno del 68% USA e del 70% della Gran Bretagna. Per aumentare il Pnl di 3-4 punti, dato il calo demografico e il divieto legislativo dell’immigrazione di massa, occorrerebbe un miracolo poichè invece le proiezioni prevedono un calo della forza lavoro dello 0,5% all’anno. Le ragioni del pessimismo dipendono dal fatto che il 55% delle giapponesi non ha un impiego regolare e guadagna la metà della controparte maschile anche perché spesso sono costrette al part-time per occuparsi di bambini e anziani. Di conseguenza, se si vuole creare un “potere femminile” il Giappone ha bisogno di un cambiamento rivoluzionario e le aziende di una mutazione culturale e sociale: se le donne “devono fare tutto” devono essere messe in condizione di “avere tutto”. Può Abe garantire questa rivoluzione? C’è da dubitarne perché tutte le due idee e le sue soluzioni sono tradizionali e inadeguate ai tempi. Se non sarà capace di investire il suo capitale politico nel cambiamento delle leggi e della società il suo proclamato femminismo resterà vuota retorica.

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