Fondazione Marisa Bellisario

DONNE E PENSIONE ANTICIPATA

L’uscita di sicurezza inizierà a chiudersi tra poche settimane. Da marzo, infatti, non sarà più possibile per le lavoratrici autonome andare in pensione a 58 anni, con 35 di contributi, accettando un assegno decurtato di circa il 30% per l’applicazione del calcolo contributivo. Poi da settembre l’alt verrà dato alle dipendenti, che avrebbero potuto scegliere la stessa via di fuga già a 57 anni. Verrà così meno una delle ultime scappatoie alle regole rigide della riforma previdenziale voluta a fine 2011 dal governo Monti nel pieno dell’emergenza finanziaria, ma la fine di questo regime alternativo, reso appetibile proprio dal brusco innalzamento dei requisiti ordinari per la pensione, è tutt’altro che pacifica. Lo scorso novembre, infatti, la Commissione Lavoro del Senato ha approvato una risoluzione che impegna il Governo a rivedere la situazione: in particolare con la modifica della circolare dell’Inps che di fatto anticipa i tempi rispetto all’originaria scadenza di fine 2015.
La storia inizia nel 2004, quando in una delle riforme previdenziali che hanno costellato la storia recente (la Maroni-Tremonti, quella del famoso “scalone”) viene inserita un’opzione riservata alle donne, che prevede per loro la possibilità, in via sperimentale fino al 2015, di sfruttare ancora i requisiti per la pensione di anzianità che venivano cancellati (57 anni di età e 35 di contributi, con un anno in più di età per le lavoratrici autonome), a condizione però di optare per il calcolo dell’intero trattamento previdenziale per il sistema contributivo, generalmente più svantaggioso.
Insomma, un po’ di soldi in meno in cambio della possibilità di andare a riposo prima. La decurtazione è significativa, dal 20 al 30%, a seconda dei casi ma per oltre 18mila donne che finora l’hanno scelta, a quanto pare lo scambio è stato vantaggioso. La convenienza aumenta poi a partire dal 2012, con la riforma Fornero che stringe le maglie della pensione di vecchiaia e di quella anticipata: l’opzione contributiva consente di andare via sei-sette anni prima, che non sono pochi.
Nel marzo del 2012 arriva però una circolare dell’Inps che precisa alcune cose. Intanto ai requisiti di età bisognerà aggiungere gli ulteriori mesi (tre dal 2013) imposti dalle nuove norme in corrispondenza dell’incremento della speranza di vita. Ma soprattutto a questo regime si continueranno ad applicare le vecchie “finestre mobili” di uscita (un anno di attesa per le dipendenti, uno e mezzo per le autonome), con la conseguenza che il termine ultimo del 31 dicembre 2015 per la fine del regime sperimentale deve essere riferito proprio all’uscita effettiva e non alla maturazione dei requisiti. Ecco quindi che per sfruttare l’opzione le lavoratrici autonome devono aver compiuto l’età di 58 anni (e raggiunto i 35 anni di contributi) entro febbraio di quest’anno, perché poi ci sono i tre mesi aggiuntivi e l’anno e mezzo di finestra. Per le dipendenti il compleanno deve cadere di fatto entro agosto, massimo settembre per le pubbliche.
A meno di un intervento che vada nella direzione richiesta dalla Commissione Lavoro. Per ridurre lo svantaggio, infatti, il Parlamento, con parere favorevole del Governo, ha chiesto all’Inps di non applicare la finestra mobile né l’aspettativa di vita: una doppia penalizzazione davvero eccessiva per la popolazione femminile che molto spesso non riesce a cumulare periodi di permanenza al lavoro continuativi perché costretta a gestire il carico familiare.
MA

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