Fondazione Marisa Bellisario

DONNE ANTIDOTO ALLA STAGNAZIONE

di Valeria Ferrero
Il tema è la stagnazione economica, ovvero la prospettiva di crescita nulla negli Stati Uniti e in Europa. In breve, lo scenario giapponese dei decenni passati.
Da un paio di anni il dibattito è alimentato da un certo numero di accademici e da qualche pessimista predicatore ma ha nuovamente acquisito rilevanza nel momento in cui nomi illustri hanno espresso la loro preoccupazione in occasione di una Conferenza del Fondo Monetario Internazionale dello scorso novembre. In realtà, sebbene dati, statistiche e il processo di normalizzazione dei mercati finanziari comincino a supportare le previsioni di ripresa per il biennio che abbiamo appena cominciato, il rischio della stagnazione sembra esistere.
In breve, la stagnazione è uno scenario nel quale i tassi di interesse nominali sono negativi, i tassi di interesse reali prossimi allo zero e le politiche monetarie delle banche centrali, per quanto accomodanti, perdono di efficacia. Considerato che gli interventi imponenti di indirizzo dei Governatori di Fed e Bce non hanno riportato ai livelli di crescita auspicati allora ci si chiede se non ci si trovi davvero nello scenario della suddetta stagnazione.
In realtà la ripresa è molto lenta ma non ferma. Sarebbe stato impossibile ritornare a livelli di crescita pre-crisi in un mercato drogato, come ormai a tutti noto, da una enorme bolla finanziaria. Un mercato nel quale abbiamo assistito a dieci anni di spreco di capacità produttiva e di fasulla generazione di ricchezza alimentata solo dal credito a basso costo.
Se seguiamo quanto i media ci propongono con una certa frequenza, e devo ammettere che alcune redazioni sono particolarmente calde sull’argomento del rischio della stagnazione e dell’incapacità delle Banche Centrali di fornire stimoli monetari sufficienti a supportare la ripresa, dove dobbiamo cercare le risposte alla crisi?
Le ricette potrebbero essere diverse.
Aumentare gli investimenti, partendo dal settore pubblico ed in particolare dalla educazione. Se l’OCSE ha dimostrato l’arretramento di Stati Uniti e Europa rispetto all’Asia, perchè non iniziare con obiettivi espliciti finanziati per alcuni anni con un altrettanta esplicita percentuale di spesa? Un 2% del PIL, solo in parte compensato da tagli in altri capitoli di spesa, sarebbe un forte stimolo. Ne patirebbe di certo l’obiettivo di contenimento del deficit ma su questo non dimentichiamo di poter imparare molto dalla Germania.
A questo poi dovremmo aggiungere seri progetti di investimento in infrastrutture cross europee. Prendendo a prestito a tassi molto compressi, non dovrebbe essere molto difficile ottenere ritorni positivi dagli investimenti.
Da studiare poi una politica fiscale che supporti una più equa distribuzione del reddito a salvaguardia di consumi di base, degli investimenti e della casa.
E soprattutto assecondare, seguire e supportare il processo lento ma inarrestabile di trasformazione sociale, puntando all’incremento dei ratio di partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Nel nostro pazzo, come è stato recentemente definito, Paese il tasso di partecipazione delle donne si attesta al 50%. Se si riuscisse a raggiungere il livello del 70% dei paesi nord europei nel corso dei prossimi 10-15 anni (solo come termine di confronto la Spagna ha aumentato il tasso di partecipazione del 10% in dieci anni) allora, se anche solo la metà delle donne che avvicina il mondo del lavoro riuscisse a trovate un impiego, otterremmo una spinta alla crescita del PIL pari allo 0,6% all’anno.
E se tutte le donne che vorranno avvicinare il mondo del lavoro potessero effettivamente trovare occupazione, basterebbe questa sola risposta ad allontanare l’ombra della stagnazione.

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