L’EUROPA E LA DIFESA DELLA PACE
Disorientati, confusi, spaventati ma non rassegnati. Questo mi sembra di leggere nelle reazioni europee e italiane allo sconquasso che è diventata giorno dopo giorno la geopolitica mondiale. Una riflessione nell’intervento della Vicepresidente europea Antonella Sberna che troverete in questo numero mi ha colpito e mi trova d’accordo: vent’anni fa, anche i più convinti europeisti, vedevano l’Europa come un’istituzione sensata e opportuna ma lontana dal quotidiano. Vent’anni fa, aggiungo io, quel che accadeva nel resto del mondo era materia per discussione tra esperti chiusi nei loro circoli. Che sia frutto della globalizzazione, di un’interdipendenza economica sempre più marcata, di un nuovo ruolo della comunicazione e dei social, lascio agli esperti. Quel che vedo io, da semplice osservatrice, è una maturità nuova e positiva della pubblica opinione che aumenta la responsabilità di chi ci governa, in Europa e in Italia.
Sono state espresse molte opinioni sulla piazza di sabato scorso a Roma, molti e giusti distinguo su un pacifismo bello e impossibile – l’Ucraina e Putin spariti dai radar – ma è indubbio che sia stata anche una positiva testimonianza di identità europea. Impensabile vent’anni fa, appunto. Che il collante siano le minacce trumpiane, il tentativo di dividere politicamente e massacrare economicamente il vecchio continente. O che sia il bullismo putiniano, Lo spettro di armi che incombono sui confini europei. Poco conta. Il risultato è che entrambe le minacce stanno ottenendo l’effetto di innalzare l’Europa forse anche al di là delle reali capacità e intenzioni della sua leadership. Un rigurgito di europeismo, un tentativo di diventar grande. E al contempo una nuova e urgente consapevolezza che viene proprio dal confronto con la politica muscolare altrui. L’Europa come presidio di libertà, di democrazia e di solidarietà. E i cittadini europei come comunità di destino, un popolo che si riconosce in principi non negoziabili che nel resto del mondo troppi autocrati giudicano superflui: la separazione e il bilanciamento tra i poteri, l’uguaglianza e la tolleranza, i diritti e il Welfare.
Non è sentimentalismo nè velleitarismo. La fiducia, anche e soprattutto quella dei cittadini, nel progetto europeo è un fattore decisivo. Ricordiamoci dei danni fatti dall’euroscetticismo, oggi che l’Europa sembra l’unico baluardo allo strapotere dei giganti mondiali, come dice benissimo l’altra Vicepresidente italiana del Parlamento europeo Pina Picierno. Certo, la fiducia, le buone intenzioni non bastano. L’obiettivo del raggiungimento di un’autonomia strategica dell’Ue, di un’affermazione come soggetto geopolitico nello scacchiere mondiale, presuppone la risoluzione di una serie di vulnerabilità strutturali. Una prima lista è stata individuata dai capi di Stato e di Governo riunitisi a Versailles nel marzo 2022, in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. La Dichiarazione di Versailles contiene l’inedita esplicita «condivisione dell’urgenza che l’Ue assuma maggiore responsabilità nella propria sicurezza e che faccia passi concreti nella costruzione della nostra sovranità europea, riducendo le dipendenze e disegnando un nuovo modello di crescita e investimenti per il 2030». Una sovranità economica, tecnologica, militare. Tre anni dopo, qualche timido passo è stato fatto, molti sono ancora da compiere.
Certo, viste le recenti reazioni nell’opinione pubblica e nella comunità politica italiane, viene da chiedersi se non avrebbe fatto meglio Ursula von der Leyen a intitolare il suo progetto Defend Europe invece di Rearm Europe. Il termine ‘riarmo’ finisce per evocare intenti aggressivi e perfino bellicosi e così è accaduto in Italia più che nel resto dei Paesi europei. Ma, al di là dei distinguo e dei pretesti, il piano ha il merito di aver posto sul tavolo un tema come quello della difesa troppo a lungo rimandato e di fare un decisivo passo verso l’inderogabile obiettivo della difesa comune. Il mondo non è quello che vorremmo fosse e, che piaccia o no, la deterrenza rimane uno strumento di difesa della pace.
La guerra in Ucraina, tre anni orami di distruzione e tragedia che ho visto con i miei occhi, sta là a ricordacelo. Giorno dopo giorno ci ammonisce sui rischi che corre un’Europa che non sappia trovare l’unità. Se perde l’Ucraina perde l’Europa e di questo dovremmo essere tutti consapevoli. I leader europei innanzitutto, ma anche i governanti dei singoli stati, destra e sinistra italiane che in questo delicato momento dovrebbero mettere da parte tutte le ideologie e marciare unite come hanno fatto i nostri padri costituenti.
Alla scommessa che l’Europa riesca a trovare un modo per aprire un nuovo ombrello in grado di tutelare il nostro continente dalle minacce esterne – anche a fronte di un disimpegno progressivo dell’America – i mercati sembrano credere e anche i leader europei, con maggiore o minore intensità. Le divisioni restano, è ovvio ma io credo che proprio la guerra in Ucraina abbia segnato un punto di non ritorno. L’Europa non si è divisa, si è allargata. E se restano le competizioni, i tentativi di primeggiare, le triangolazioni, i rapporti di forza, forse è un prezzo da pagare per un sistema che resta, vivaddio, democratico. Non possiamo contare sull’unanimità garantita da un monarca o un autocrate. Serve solo capire che non è la nostra debolezza ma la nostra forza.
Come ha ricordato Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività, l’entità delle sfide che abbiamo davanti supera la dimensione dei singoli Paesi e per questo è necessario «agire sempre di più come se fossimo un unico Stato» mettendo in piedi un grado di coordinamento senza precedenti tra tutti gli attori – governi e parlamenti nazionali, Commissione europea e Parlamento europeo – nonché di agire con una risposta rapida, «perché il tempo non è dalla nostra parte». Oggi è già domani.
E che il più corteggiato e amato tra gli artisti italiani abbia dedicato un monologo politico all’Europa, chiude il cerchio. L’Unione europea – ha detto ieri su Raiuno Roberto Benigni – è «un colpo di scena della storia, una rivoluzione silenziosa che può trasformare il mondo se prima 6, poi 12 e infine quasi 30 Paesi si uniscono e condividono regole democratiche». E mi ha riempito di gioia quella rosa rossa consegnata a Sofia Corradi, ideatrice del Progetto Erasmus, Mela d’Oro 2019.
Cara Lella,
mi sento di doverti ringraziare per le parole che ho appena letto.
Da donna sempre attenta alla salvaguardia dei diritti umani, della dignità delle persone e delle loro libertà, sento di condividere in pieno il tuo pensiero.
Spero tu riesca a farlo arrivare in alto, io sono con te.
Grazie
Elena