Fondazione Marisa Bellisario

RENZI ALLA UE: «QUI CI VUOLE UNA DONNA». E LAGARDE TORNA TRA LE CANDIDATE

«Qui ci vuole una donna, l’Italia ha dato un esempio con il suo governo». Un vertice del G7, per la prima volta Bruxelles e per la prima volta con la partecipazione di Renzi, in cui la scelta del nuovo Presidente della Commissione Europea ha un po’ messo in sordina tutto il resto, dall’Ucraina alla disoccupazione. Lo dimostra anche la battuta di Matteo Renzi: «Qui ci vuole una donna…», e c’è chi torna a pensare a Christine Lagarde, francese, direttore generale del Fondo monetario internazionale, la cui candidatura è in questi giorni caldeggiata ufficiosamente dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Ma il motivo per cui Renzi cita le «sue» ministre, sembra essere soprattutto quello di sbloccare una discussione ormai incanaglita: Jean-Claude Juncker sì, a capo della Commissione, e la Gran Bretagna fuori dalla Ue, come minaccia il suo primo ministro David Cameron? Junker no, e Angela Merkel costretta a far finta di niente, poiché l’ex presidente dell’Eurogruppo era ed è pur sempre il suo candidato ufficiale? Insomma, uno stallo a 28 facce, quelle dei leader Ue, che sembra dar ragione a Barack Obama quando confessa di sapersi orientare poco fra gli ingranaggi istituzionali dell’Europa. Ingranaggi “sparigliati” proprio dalle mosse a sorpresa della Merkel.
Nei giorni sorsi, era stato il quotidiano britannico The Telegraph a battere la notizia di una telefonata della cancelliera tedesca al presidente francese Hollande per vagliare il suo sostegno alla candidatura del direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, alla presidenza della Commissione UE. Pare che l’Eliseo abbia mostrato freddezza sull’ipotesi mentre governo tedesco ribadiva ufficialmente il sostegno alla candidatura di Jean-Claude Juncker, ex premier del Lussemburgo ed ex presidente dell’Eurogruppo, uscito vincitore dalle elezioni europee, in qualità di leader del PPE, il gruppo politico con più deputati al Parlamento di Strasburgo. Tuttavia, Juncker non è granché gradito al di fuori del PPE e persino da frange interne agli stessi popolari. Troppo vicino alle posizioni della Germania, è inviso agli italiani, Forza Italia in testa, nonché a ben tre premier europei: il britannico David Cameron, l’olandese Mark Rutte e lo svedese Fredrik Reinfeldt.
In particolare, proprio Cameron avrebbe intenzione di dare battaglia per non fare passare il nome di Juncker e nonostante il premier britannico non faccia parte della famiglia del PPE, la sua voce è importante, anche perché nel panorama del Regno Unito rappresenta l’ultimo baluardo a destra contro una possibile uscita del Paese dalla UE.
Il nome della Lagarde è stato individuato da Frau Merkel per diverse ragioni: è considerata una donna super-partes, come dimostrano le sue posizioni al contempo favorevoli alle politiche di austerità, ma critiche verso la gestione della crisi del debito sovrano da parte dell’Europa; è l’ex ministro delle Finanze del governo francese, sotto la presidenza di Sarkozy, quindi, non certamente ostile alla Germania e già collaudata dagli ambienti tedeschi, che vi hanno potuto collaborare fino al giugno del 2011, mese in cui la Lagarde andò a guidare l’FMI; infine, è una donna, elemento che non guasta.
Ma per diverse ragioni, la figura della Lagarde potrebbe non passare il test del Consiglio europeo. In primis, il presidente Hollande avrebbe grandi difficoltà a sostenerla, essendo un socialista, ossia del partito avversario a quello di Sarkozy e della stessa Lagarde e poi difficilmente la Francia potrebbe reclamare per la terza volta di fila un suo uomo e quasi certamente non potrebbe essere un socialista, per cui Hollande avrebbe solo da perdere, se sostenesse la Lagarde. Inoltre, i paesi emergenti, come i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e non solo, scalpitano per avere finalmente un loro uomo al comando dell’istituto, per cui l’Europa rischierebbe di perdere il controllo dell’organismo internazionale più influente del pianeta. Forse avverrà lo stesso tra due anni, ma meglio prendere tempo.
I lunghi colloqui «amichevoli, franchi e costruttivi» fra Merkel e Cameron non hanno sbrogliato la matassa. Perciò Renzi, in fondo il premier più votato e più «nuovo» fra quelli europei, si azzarda a proporre qualche cauta parola di mediazione: «Non è il momento dei diktat e dei veto, nessun candidato ha ottenuto la maggioranza e perciò bisogna trovare un punto di intesa». E ancora: «Noi dobbiamo dare una risposta ai cittadini, non soddisfare le ambizioni dei candidati, il punto di partenza è il fatto che la politica di rigore e austerità ha mostrato i suoi limiti. Partiamo da questa constatazione per chiedere che si apra una pagina nuova». Il che equivarrebbe a sostenere che Juncker, ex patrono di tutti i «piani di risanamento», non va bene, e c’è invece qualcun altro che Roma vuol sostenere. È così? Renzi glissa: non c’è alcuna «candidatura nazionale» per un Paese che vuole giocare un «ruolo da protagonista» sulle idee e non «aggrapparsi a scelte di natura geografica». Traduzione: niente toto-nomine. Piuttosto, puntare sui criteri operativi prima di individuare i nomi, formare una piattaforma programmatica alla quale, secondo Renzi, potrebbero aderire «diversi Paesi Ue». Se sarà così, lo si vedrà in poche settimane.
MA

5 commenti su “RENZI ALLA UE: «QUI CI VUOLE UNA DONNA». E LAGARDE TORNA TRA LE CANDIDATE”

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