Fondazione Marisa Bellisario

RAPPORTO ISTAT 2014: NASCITE AL MINIMO STORICO, E LE DONNE DIVENTANO “BREADWINNER”

Un ritratto disarmante e allarmante quello dell’Italia restituito dal Rapporto annuale dell’Istat 2014, presentato ieri alla Camera dei Deputati. Culle vuote, con le nascite al minimo storico da vent’anni a questa parte, disoccupazione che avanza, giovani che sempre più numerosi fuggono all’estero, donne costrette a giocare il ruolo “capofamiglia” e record europeo del divario nella distribuzione del reddito. È la fotografia di un declino da arrestare, l’istantanea di punti deboli su cui il governo Renzi, mai così forte, dovrà concentrarsi. Ma partiamo dal principio.

NASCITE, 515MILA NEL 2013. Nel 2013 i bambini iscritti all’anagrafe sono 12mila in meno rispetto al minimo storico registrato nel 1995. In cinque anni, sono arrivate in Italia 64mila nascite in meno.Nel frattempo, incassiamo il ecord negativo per indice di vecchiaia, tra i più alti al mondo: a inizio 2013 tra i residenti si contano 151,4 persone over 65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni, solo la Germania ha un valore più alto (158), mentre la media Ue28 è 116,6.

LA CRISI COSTA IL POSTO A MEZZO MILIONE DI GENITORI. “Particolarmente grave è l’incremento dei genitori disoccupati”, rileva il Rapporto Istat. Tra il 2008 e il 2013 si registra un rialzo di 530mila tra padri (+303mila) e madri (+227mila) disoccupati. Guardando alle mamme, quelle che vogliono lavorare, considerando pure le forze lavoro potenziali, sono 1milione 767mila.

E LE DONNE DIVENTANO “BREADWINNER”. Aumentano le famiglie con donne ‘breadwinner’, ovvero quelle in cui la donna è l’unica ad essere occupata: sono il 12,2% delle famiglie, erano il 9,4% nel 2008. Quelle con il breadwinner uomo sono il 26,5% (stabile rispetto a cinque anni prima). Tra il 2008 e il 2013 le famiglie in cui l’unico occupato è una donna sono aumentate di 591mila unità (+34,5%), superando i 2,3 milioni. Del resto, è un meccanismo inevitabile: “Le donne «sono ancora troppo spesso costrette a uscire dal mercato del lavoro in occasione della nascita dei figli”. La quota di madri che non lavora più a due anni di distanza dalla nascita dei figli è passata al 22,3% nel 2012 dal 18,4% del 2005.(
Poco più della metà delle neo-madri in Italia continua a contare prevalentemente sull’aiuto dei nonni quando è al lavoro, ma cresce il ricorso al nido (35,2% contro il 27,4%), soprattutto se privato (la cui fruizione passa dal 13,9% del 2005 al 21,1% del 2012).

EMIGRATI IN 68MILA NEL 2012, +36% IN UN ANNO. E’ un vero e proprio boom di italiani che cercano fortuna all’estero. Nel 2012 – fa sapere l’Istat – gli emigrati erano 68mila, il 36% in più del 2011, “il numero più alto in 10 anni”. Nello stesso anno, oltre 26 mila giovani italiani (tra i 15 e i 34 anni) hanno lasciato il Paese, 10 mila in più rispetto al 2008, meno di quanti sono rientrati. Complessivamente, egli ultimi cinque anni, hanno fatto le valigie 94mila giovani. Il flusso di uscita dei laureati è di 6.340 unità, con un saldo di -4 mila 180 unità.

GIOVANI: 1,8 MILIONI DI OCCUPATI IN MENO IN CINQUE ANNI. Del resto sono proprio i giovani i più colpiti dalla crisi. I 15-34enni occupati diminuiscono, fra il 2008 e il 2013, di 1 milione 803 mila unità, mentre i disoccupati e le forze di lavoro potenziali crescono rispettivamente di 639 mila e 141 mila unità. ll tasso di occupazione 15-34 anni scende dal 50,4% del 2008 all’attuale 40,2%, mentre cresce la percentuale di disoccupati (da 6,7% a 12%), studenti (da 27,9% a 30,7%) e forze di lavoro potenziali (da 6,8% a 8,3%). Le differenze di genere sono importanti: il tasso di occupazione è al 34,7% tra le donne e raggiunge il 45,5% tra gli uomini.

NORD-SUD, IL DIVARIO DEGLI UNDER 35. Per quanto riguarda i giovani tra i 15 e i 34 anni, anche i divari territoriali sono marcati: al Nord il tasso di occupazione è pari al 50,1% (-12,1 punti percentuali dal 2008), contro il 43,7% del Centro (-10,4 punti) e il 27,6% del Mezzogiorno (-8,4 punti). Le differenze territoriali sono importanti anche per le quote di disoccupati (15,3% nel Mezzogiorno contro 9,3% nel Nord) e di forze di lavoro potenziali (14,3% contro 4%). Sempre nel Mezzogiorno è leggermente più elevata la quota di studenti (32%, contro il 31,4% del Centro e il 29,3% del Nord).

DISOCCUPAZIONE, 6,3 MILIONI DI “POTENZIALI IMPIEGABILI”. Il numero dei disoccupati in Italia è raddoppiato dall’inizio della crisi. E in quasi 7 casi su 10 l’incremento è dovuto a quanti hanno perso il lavoro. Cresce anche la disoccupazione di lunga durata che raggiunge il 56,4% del totale (45,1% del 2008). Tra disoccupati e persone che vorrebbero lavorare in Italia si contano 6,3 milioni di senza posto. Guardando ai giovani, nel 2013 tra i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che né lavorano né studiano, i cosiddetti Neet, sono 2 milioni 435 mila, in aumento di 576mila rispetto al 2008. Alzando l’asticella agli under35, l’Istat fa notare come nei 5 anni di crisi gli occupati in questa fascia d’età siano scesi di 1 milione 803 mila

REDDITO, DISUGUAGLIANZE RECORD. In generale, sottolinea l’Istat, “l’Italia è uno dei paesi europei con la maggiore disuguaglianza nella distribuzione dei redditi primari, guadagnati dalle famiglie sul mercato impiegando il lavoro e investendo i risparmi”. Inoltre, “nonostante l’intervento pubblico operi una redistribuzione dei redditi di mercato di apprezzabile entità, non inferiore a quella dei paesi scandinavi, in Italia il livello di disuguaglianza rimane significativo anche dopo l’intervento pubblico”.

CRISI, “DEBOLI SEGNALI POSITIVI”. La morsa della crisi, però, nel 2013 pare attenuarsi: la quota di persone appartenenti a famiglie in condizioni di “grave deprivazione” scende al 12,5%, pari a 7,6 milioni di individui, dal 14,5% del 2012, corrispondente a 8,7 milioni. L’Istituto di statistica parla di “deboli segnali positivi”. Ma nel 2013 sono 2 milioni le famiglie (con almeno un 15-64enne) senza occupati e pensionati da lavoro, a cui si aggiunge un’altra area di disagio fatta da famiglie composte da più persone, ma rette solo da una pensione da lavoro. Sommando i gruppi emergono 3 milioni di famiglie che potrebbero essere in difficoltà, dove nessuno lavora.

PIL 2013, MENO 1,9%. CALO ANCHE NEL 2014. Nel 2013, il Pil si è contratto nuovamente (-1,9%), riportando il livello dell’attività economica leggermente al di sotto di quello del 2000. Nel quarto trimestre si è registrato un timido segnale di ripresa economica dopo nove trimestri consecutivi di contrazione dell’attività (+0,1% su base congiunturale). Tuttavia, la stima flash relativa al primo trimestre del 2014 ha evidenziato una nuova flessione.
MA

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