Fondazione Marisa Bellisario

L’EGITTO SI MOBILITA CONTRO L’INFIBULAZIONE

Di Ornella del Guasto
Mansour Ahmed con voce rotta racconta la sua esperienza, scrive Le Figaro: “avevo 7 anni, erano le vacanze d’estate, mia madre mi svegliò all’alba, mi dipinsero le mani con l’henné poi 4 donne mi bloccarono le braccia e le gambe sul letto e venni infibulata con un rasoio. Un dolore senza eguali”. Oggi la giovane egiziana di 33 anni trema al ricordo della sanguinosa pratica millenaria a cui in Egitto è ancora sottoposto un gran numero di donne. “Dopo di me – prosegue Mansour – furono incise le mie 3 giovanissime cugine, tutte senza anestesia e con lo stesso rasoio”. La giovane donna parla a Seflaq, piccola borgata dell’Alto Egitto, davanti a una sala gremita di donne, un luogo dove fino a 10 anni fa trattare un tale argomento era tabù. Oggi invece, grazie alle attività e alla mobilitazione delle Ong locali, è possibile parlarne liberamente. Sono state proprio le rappresentanti delle Ong a invitare le donne del villaggio a raccontare le loro esperienze.
“Oggi mi sento meno sola – ha sospirato una ragazza sfuggita alla tortura tradizionale grazie a suo marito e contro la volontà della suocera. Di recente una ragazzina di 13 anni è morta in un villaggio nel corso della pratica di infibulazione e lo scorso gennaio il Tribunale ha condannato a 2 anni di prigione il medico che l’aveva praticata e a 3 mesi il padre della piccola. Eppure nonostante queste prime aperture e malgrado una legge del 2008 abbia messo al bando l’infibulazione, in Egitto sono ancora tanti i medici che continuano a praticarla e i casi mortali vengono repertati come errori medici di routine.
Oggi sull’argomento delle mutilazioni femminili 500 procuratori sotto l’egida e in partenariato con il CNP (Consiglio Nazionale della popolazione) si sono mobilitati. Un compito arduo perché secondo le statistiche dell’UNFPA (United Nation Population Fund ) in Egitto ogni anno avviene un quarto delle infibulazioni mondiali e il 91% delle donne sposate tra i 15 e i 49 anni sono infibulate, soprattutto nelle regioni sottosviluppate e meno istruite.
Gli attivisti del CNP e delle Ong hanno cominciato a battersi contro le mutilazioni femminili negli anni ’90 ma ammettono che appena sfioravano l’argomento la gente fuggiva o si sdegnava. “Nella mia famiglia e nella cultura egiziana – spiega uno – l’infibulazione è simbolo di purezza perché toglie alla donna ogni interesse sessuale e perciò le impedisce di desiderare rapporti fuori del matrimonio”. Una ragazza racconta come ha dovuto combattere con la madre per proteggere la sorellina di 10 anni :“é un costume tradizionale. Eppure non ha niente a che fare con l’Islam e il Corano tanto che in Arabia Saudita non è praticata!” E’ stata Susanne Mubarak , la moglie dell’ex dittatore, nel 2000 a lanciare un’intensa campagna di sensibilizzazione contro la mutilazione della donna e da allora i progressi ci sono stati anche se, di nascosto nei villaggi la pratica è continuata nonostante il costo di 20 euro che é una somma notevole per i contadini. “Quando però i Fratelli Musulmani sono arrivati al potere – rammenta una volontaria – bloccarono ogni nostro sforzo e anzi crearono un centro in cui era possibile essere infibulate gratis. Nel maggio 2012 un deputato salafita ha proposto una legge per la legalizzazione obbligatoria della mutilazione , perché secondo lui si trattava di una pratica islamica”.
Dopo la cacciata e l’arresto dei Fratelli musulmani i programmi di educazione contro l’infibulazione sono ripresi e le Ong stanno cercando di recuperare il tempo perduto. I volontari con l’appoggio dell’UNFR vanno di villaggio in villaggio informando i pazienti dei danni che derivano dalla pratica: emorragia, sterilità e infezioni… passo dopo passo il successo si fa lentamente strada anche se la pressione resta fortissima. “Ci sarà bisogno ancora di una generazione per poter sradicare il fenomeno” hanno calcolato le Ong.

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