Un anno fa, Mark Zuckerberg e la potente Sheryl Sandberg l’hanno nominata Global Director of Diversity di Facebook. Il compito di Maxine Williams è far sì che una delle aziende del tech più grandi al mondo (8mila dipendenti in 500 uffici) non assuma solo maschi bianchi eterosessuali. “A Facebook hanno capito che la diversità è fondamentale per realizzare la nostra missione: sviluppiamo prodotti per connettere il mondo, questo vuol dire avere team di persone che capiscano e rappresentino comunità, background e culture differenti”. Una bella sfida, se si pensa che il tema della diversity e delle discriminazioni nella Silicon Valley è considerato “la questione” e che non passa giorno in cui negli Stati Uniti qualcuno non pubblichi un articolo sottolineando come le aziende tecnologiche siano ambienti per lo più maschilisti e sessisti. Le voci sono aumentate dopo che quest’estate i colossi del tech hanno pubblicato il loro diversity report. La media è di tre donne assunte ogni sette uomini. Davvero poco, e Facebook non fa eccezione.
Quanto a Maxine, è certamente la persona giusta per portare avanti una missione tanto impegnativa. “Island girl”, una ragazza dell’isola, così ama definirsi lei stessa. A 16 anni lascia Trinidad e, arrivata negli USA, fa domanda di ammissione a Yale: “Dopo il colloquio, mi hanno messo in lista di attesa. Voleva dire che non mi avevano scartato ma nemmeno preso”, racconta. Già, per una ragazza dalla pelle scura, figlia di una mamma single, forse era chiedere troppo entrare nella Ivy League. Maxine però non si perde d’animo e manda a Yale una videocassetta per convincere quei signori bianchi e ricchi che lei sì, davvero, vuole studiare legge. Portato a casa il diploma, nella sua vita ha letteralmente messo in pratica il motto della sua isola, just try a ting (“provaci”). Ha fatto di tutto, l’attrice di soap opera, l’avvocato per i diritti umani, la giornalista e la presentatrice. Fino a prendere il comando di una divisione divettata importantissima per Facebook.
“Abbiamo poche ragazze che si laureano e si formano in materie tecniche. Quindi – dichiara la Williams – incentivare lo studio delle materie Stem (Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) e introdurre dei modelli positivi di donne che ce l’hanno fatta. Se lo vedi realizzato, pensi che sia possibile”. Su questo fronte a Menlo Park hanno deciso di appoggiarsi a programmi esterni come Girls Who Code e YesWeCode (corsi per avvicinare le ragazze alla programmazione e al codice) e di aderire alle borse di studio della Grace Hopper. Ma non solo. Da poco sono stati introdotti dei percorsi di stage retribuiti di otto settimane. E inoltre Maxine racconta di un lavoro che vede impegnate le manager ma anche i semplici impiegati: “Dato che uno dei principali deterrenti alla parità è la mancanza di modelli pratici, incoraggiamo i dipendenti di Facebook a ospitare dei Lean in circle (piccoli gruppi di uomini e donne che si incontrano regolarmente per parlare apertamente di questioni di genere)”. “Abbiamo una lunga strada da fare, ma siamo sulla strada giusta. La buona notizia è che, quando mi guardo intorno in ufficio, vedo persone che sono disposte a impegnarsi in questo tipo di dialogo”, conclude Williams.
Dopo tanto dibattere, dopo gli attacchi e dopo una campagna per togliere agli uffici di Menlo Park, quell’insostenibile patina di maschilismo, di volta a Facebook l’avrebbero trovata in un’espressione che tanto piace anche a Ethan Zuckerman, direttore del Center for Civic Media del Mit di Boston. “Quando si parla di diversità, si intende la diversità cognitiva – diversità di pensiero e di esperienza, oltre a cultura, etnia, sesso, orientamento sessuale, capacità/conoscenze, status socio-economico e altri fattori”, illustra Williams. Il che significa assumere donne, afro americani, latini. E, se possibile, per ruoli tecnici. Morale, negli ultimi mesi molti AD della Silicon Valley, Zuckerberg in testa, hanno capito che se vogliono vendere a tutto il mondo i loro prodotti devono allargare i confini dei loro team. Perchè “diverso” significa più ricco, più creativo e più remunerativo.
MA
9 commenti su “LA “RAGAZZA DELL’ISOLA” CHE SFIDA IL MASCHILISMO HI-TECH”
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