Fondazione Marisa Bellisario

LA NUOVA COSTITUZIONE DEL NEPAL È ANCORA CONTRO LE DONNE

Di Ornella Del Guasto

“In Nepal il senso d’inferiorità viene trasmesso alle donne da bambine. Sin da piccole ci insegnano che siamo femmine come quando ci lodano più per il nostro aspetto che per le nostre conquiste o quando ci ammoniscono che dobbiamo avere un contegno dimesso, essere accomodanti, sorridere. ” Una giornalista, che nonostante viva da anni in Canada e USA, ha conservato la cittadinanza nepalese (contro il parere di chi le voleva bene per residua e masochistica lealtà verso il proprio paese), spiega al quotidiano The Record di essere quindi soggetta alla Costituzione del Nepal che afferma nel codice civile che le donne sono di proprietà dei padri o dei mariti. “Da quando sono nata – dice – il Nepal ha avuto 4 Costituzioni tutte penalizzanti le donne. L’aborto era illegale, il codice differenziava lo stupro a seconda se la vittima fosse vergine, sposata o prostituta poiché il suo valore dipendeva dalla purezza sessuale, le figlie erano escluse dall’asse ereditario ma l’aspetto più umiliante è che da sempre la cittadinanza si trasmette solo di padre in figlio mentre le donne sono il semplice veicolo attraverso cui gli uomini trasmettono la loro nazionalità. A 16 anni ho attenuto la nazionalità da mio padre, non da mia madre, e se avessi avuto figli non avrei potuto trasmetterla. Un’assurdità consolidata nella tradizione nonostante il Nepal abbia ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. Per questo ci eravamo illuse che le cose nell’ultima Costituzione sarebbero cambiate tanto che su questa speranza si era creato un movimento femminista a cui hanno aderito personalità progressiste. Il tema che da sempre più allarma le donne è infatti quello della nazionalità”.
In Nepal, Paese di varie etnie e molteplici lingue, la nazionalità è l’unico modo per definire la proprie identità. Si può acquistare solo 16 anni e senza nazionalità non si possiede niente: vengono negati il passaporto, l’iscrizione a scuola e all’università, il lavoro, i documenti, il conto in banca…. Per avere la nazionalità basta avere un padre nepalese mentre se il padre è straniero una clausola impedisce al figlio di averla dato che la madre non può trasmetterla. Questa clausola è voluta da persone potenti che esigono difendere strenuamente l’integrità del paese. Da quando è stata aperta la frontiera con l’India è aumentato il numero di nepalesi che sposano cittadini indiani e molti in Nepal non vogliono che figli di queste coppie miste vengano riconosciuti. Paradossalmente non è questione d razzismo ma di casta. Infatti sono le caste dei bramini che, nonostante rappresentino il 30% della popolazione, controllano quasi tutte le istituzioni nepalesi e sono ossessionati dalla purezza del sangue. “La nepalese che sposa un indiano è obbligata a trasferirsi in India perché se mi sposassi uno straniero mio marito dovrebbe aspettare 15 anni per avere diritto alla nazionalità (che poi quasi mai viene concessa) e nel frattempo i nostri figli resterebbero apolidi”- continua la giornalista. Da tempo si è formato un gruppo di avvocati specializzati in diritti umani che si batte contro queste discriminazioni, ma le leggi nepalesi sono confuse e le giovani donne non riescono a difendersi. La situazione peggiore è quella dei figli nati da stupri subiti dalle donne nepalesi all’estero e che non è possibile rimpatriare (secondo le stime i nepalesi apolidi sono 4 milioni e 300mila e 900mila di loro hanno meno di 16 anni e vivono con donne single) .La nuova Costituzione in cui erano riposte tante speranze ha invece ha confermato lo “status quo” affermando che un bambino è nepalese solo se lo è il padre, facendo infuriare i progressisti. Persino l’ex ministra della Difesa e portavoce delle donne Bishya Bhandari ha dichiarato che la parità tra uomo e donna “è un concetto occidentale”. Tutte le associazioni dei diritti umani si sono sollevate. “ Per l’ennesima volta la donna è relegata in posizione di inferiorità – denuncia il gruppo “Citizenship in the name of mother”- Ma la battaglia non finisce qui”.

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