Con Josè Rallo, imprenditrice del vino, parliamo della sua impresa, dell’agricoltura, del ruolo delle donne, del rinnovamento e delle scelte importanti che hanno caratterizzato l’azienda nel tempo.
Donnafugata è in Sicilia e il vino è sia cultura che territorio. Ci racconta la storia di quest’azienda?
Rappresento la quinta generazione di una famiglia di imprenditori dediti al vino di qualità. Donnafugata è stata fondata da mio padre, Giacomo Rallo e da mia madre Gabriella, 30 anni fa: un progetto imprenditoriale, totalmente innovativo, che adesso portiamo avanti con mio fratello Antonio e che da sempre ha fatto della qualità estrema un valore essenziale ed irrinunciabile. Donnafugata prende avvio nel 1983 dalle storiche cantine della famiglia Rallo a Marsala e nelle vigne di Contessa Entellina, nel cuore della Sicilia occidentale; nel 1989 giunge su di Pantelleria per produrre vini naturali dolci di grande personalità. Un’azienda che punta alla cura dei particolari, e mette l’uomo al servizio della natura, per produrre vini sempre più rispondenti alle potenzialità del territorio. Infine una piccola curiosità: il nome Donnafugata, letteralmente “donna in fuga”, fa riferimento alla storia della regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV di Borbone che ai primi dell’800 fuggita da Napoli si rifugiò in Sicilia, là dove oggi si trovano i vigneti aziendali. Questa vicenda ha ispirato il logo aziendale, cioè l’effige della testa di donna con i capelli al vento che campeggia su ogni bottiglia.
Lei porta avanti un progetto di squadra mirato a salvaguardare la tradizione e la ricerca. Ci racconta qual è la chiave del vostro successo?
C’è un rispetto forte dell’identità territoriale, ma con la massima apertura mentale su tutto ciò che può aiutare la qualità dei prodotti, la visibilità delle pratiche sostenibili, l’immagine e la reputazione dell’azienda: questo è il nostro stile. Sono più di 20 anni che la sostenibilità è al centro del nostro modello di business.
• Nel 1989 a Pantelleria abbiamo sposato una viticoltura eroica fatta di terrazzamenti, muretti a secco e vigne bassissime: una viticoltura manuale che produce eccellenza e tutela il paesaggio e biodiversità.
• Dal 1998 vendemmiamo in notturna lo chardonnay per preservarne gli aromi e risparmiare il 70% di energia nella refrigerazione delle uve.
• Dal 2002 produciamo energia pulita con il fotovoltaico.
• Nel 2011 abbiamo anche piantato insieme ad un gruppo di produttori di vino un bosco di sughere per compensare le nostre emissioni di CO2.
• Nel 2012 abbiamo iniziato il cammino della Carbon Footprint per calcolare le nostre emissioni, trovare gli spunti per ulteriori miglioramenti e usufruire di un logo internazionale da poter apporre sulle nostre bottiglie. Sarà il coronamento di un progetto di squadra, che va incontro alle esigenze di un consumatore sempre più sensibile a questi valori: grazie ai nostri ventennali investimenti economici e di risorse umane, ci troviamo in perfetta sintonia con queste nuove esigenze di gusto e di sostenibilità ambientale.
I vostri vini hanno dei nomi affascinanti come Anthilia, nomi di dee o sirene, come nascono questi nomi e chi li sceglie?
La creatività a Donnafugata è soprattutto “donna“. Mia madre Gabriella se ne è sempre occupata in prima persona, realizzando lei stessa qualche etichetta: ad esempio quella del Mille e una Notte che mette il palazzo di Donnafugata del Gattopardo al centro di un cielo stellato, passando dal top della letteratura italiana al capolavoro di quella orientale. Per molte altre etichette ha scelto di collaborare con Stefano Vitale, illustratore di incredibile bravura e sensibilità, con il quale è stato facile entrare in sintonia e condividere lo spirito di Donnafugata, e quello di Gabriella. Una “donna in fuga”, alla ricerca di sempre nuovi volti di donna capaci di raccontare la personalità dei nostri vini. Vini che talvolta presentano anche organoletticamente spiccati tratti “femminili”. E’ il caso del Chiarandà, un bianco che unisce potenza e morbidezza, che esplode nei profumi e che non poteva non portare una donna in etichetta, sospesa tra girandole e simboli del territorio (palme, fichi d’india, …). E’ il caso del Vigna di Gabri dove mia madre diventa la protagonista dell’etichetta e racconta il suo amore per la vigna. Le nostre etichette sono empatiche come le donne e devo riconoscere che hanno raccolto molti successi strada facendo!
Lei gestisce le sue aziende al ritmo di musica jazz e brasiliana. Ci spiega in che modo?
Ho sempre avuto una grande passione per la musica e per il canto in particolare. Quando ho conosciuto mio marito, nel 1987, ho consolidato il mio amore per la musica brasiliana imparando a cantare il repertorio di autori simbolici quali Caetano Veloso e Tom Jobim. Nel 2002 nasce l’idea di una tournée che unisse i vini di Donnafugata alla nostra musica. Dal palco ho iniziato a proporre un’esperienza multisensoriale, abbinando ad ogni vino un brano musicale per accompagnare ed esaltare il ritmo delle sensazioni organolettiche. Un successo strepitoso che ci ha portato dalla Cantina Bentivoglio di Bologna al Blue Note di Milano dove abbiamo presentato il nostro primo CD Live il cui ricavato (120.000 euro) è andato al reparto di cardiochirurgia pediatrica del civico di Palermo. Dopo le tappe di Shangai e Pechino, abbiamo inciso un secondo CD Live con una band di 15 fiati destinando il ricavato ad un progetto di microcredito in Sicilia. Last but not least ho registrato 7 videoclip per il web (presenti sul sito aziendale e Youtube) con clarinetto e viloncello: una selezione di degustazioni musicali che fanno sentire a chi le guarda, da ogni angolo del mondo, le emozioni forti o sensuali dei vini di Donnafugata
Come riesce a conciliare vita privata e vita imprenditoriale?
L’essere multi- tasking implica una flessibilità mentale e organizzativa non da poco. Credo di essere riuscita a dare affetto ai miei due figli e, allo stesso tempo, insegnarli il valore del lavoro: pur trovandomi spesso fuori casa, li ho sempre seguiti preoccupandomi delle loro attività e della loro salute. Penso, e spero, che abbiano sentito questa mia attenzione come una presenze vigile: rimproveri da parte loro ne ho ricevuto pochi! Più difficile può essere talvolta mantenere un rapporto sereno con il partner: specie quando i figli sono piccoli, tendiamo a metterlo in secondo piano. Per fortuna io e mio marito abbiamo forti passioni in comune: la musica, la vela, il viaggio e, naturalmente, la famiglia: coltivandole insieme, abbiamo trascorso insieme 22 bellissimi anni. In conclusione, essere multitasking ai ritmi della vita di oggi è un po’ come essere un equilibrista: se ti concentri e ti eserciti ce la fai!
Secondo un’analisi della Coldiretti, divulgata nel corso dell’ultimo Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, sono aumentati i giovani agricoltori con meno di trent’anni. Quali sono i consigli che lei darebbe a questi giovani?
Comincio con un aneddoto. Quando mia madre Gabriella ereditò l’azienda agricola di Contessa Entellina, nel cuore della Sicilia occidentale, i suoi collaboratori avevano sempre prodotto quantità. Per convincerli della necessità di ridurre le rese organizzò una degustazione comparativa. Li educò al piacere del vino e quindi al gusto di trattare la vigna in modo che producesse pochi bellissimi grappoli. La propria passione diventò la passione dei suoi collaboratori. Il consiglio che mi sento di dare a questi giovani agricoltori è quello di portare avanti sempre con passione il proprio lavoro, senza mai smettere di aggiornarsi, di innovarsi e di condividere valori, obiettivi e metodi con i propri collaboratori.
Il suo lavoro è stato premiato diverse volte con vari riconoscimenti. Uno di questi è il premio GammaDonna vinto nel 2006. Lei quest’anno farà parte della giuria, qual è il suo messaggio per le imprenditrici della filiera agroalimentare che parteciperanno?
Recentemente sono stata ad una bellissima iniziativa del gruppo Unicredit focalizzata sui valori dell’imprenditoria femminile e sull’internazionalizzazione: uno degli aspetti che è emerso, è che la donna ha una naturale visione di lungo termine, e per questo opera bene in progetti quali la sostenibilità ambientale e l’internazionalizzazione. La sua innata empatia, infatti, è un volano per entrare in sintonia con culture e stili di vita diversi. Inoltre, nelle aziende al femminile lo schema “partecipativo” è più evidente, poiché si cerca di far leva sulla collaborazione di tutti (uomini e donne): in questo modo vengono mobilitate le risorse in modo più efficace. Per cui il mio invito a tutte le imprenditrici è di non mettere mai a “tacere” la propria sensibilità femminile, ed anzi di sfruttarla per guardare al mercato e alle sue esigenze di innovazione.
Fonte: Donna Impresa, 20 Novembre 2012
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