Fondazione Marisa Bellisario

Christine Lagarde, direttore FMI: “Quando parlano le donne, gli uomini fanno altro”

La scena che si svolge la mattina al New York’s Carlyle Hotel è più o meno la migliore immagine che potreste associare al termine “colazione d’affari”. Al piano terra dell’hotel dalle opulenti decorazioni in stile art déco, uno dei preferiti per lungo tempo dai presidenti americani, nonché indirizzo prediletto a Manhattan di viaggiatori del calibro della principessa Diana, Mick Jagger e George Clooney, uomini in completi impeccabili consumano la prima colazione, mentre numerosi uomini della sicurezza girovagano per l’atrio.
Christine Lagarde, capo del Fondo Monetario Internazionale, siede a un tavolo isolato nei pressi dell’atrio con un assistente. Da quando Lagarde, 59 anni, ha rimpiazzato Dominique Strauss-Kahn al FMI, autorevole istituzione creata nel 1944 per assicurare stabilità finanziaria principalmente tramite la stabilizzazione dei tassi di cambio, si è trovata al centro di non poche emergenze di portata globale. La crisi economica europea ha minacciato non solo il futuro della moneta unica, ma anche l’idea stessa di Unione Europea. Ora l’economia del vecchio continente, ancora in fase di stagnazione, deve affrontare il più grande flusso di rifugiati a cui il mondo ha assistito dalla fine del nazifascismo. Sotto la direzione di Lagarde, l’FMI ha ampliato il proprio mandato in maniera significativa, non solo ricoprendo un ruolo centrale dopo il crollo dei mercati, ma anche pubblicando rapporti controversi sull’impatto economico del riscaldamento globale, la diseguaglianza e la disparità tra i sessi.
Intervistare Lagarde non è la stessa cosa che intervistare la maggior parte degli altri politici o personaggi pubblici. È un’ascoltatrice concentrata, che si sporge in avanti sulla sua sedia, attenta a ogni parola. E’ scoppiata a ridere numerose volte, non ha controllato il suo cellulare neanche una volta (questo fatto è al limite dell’incredibile) e ha risposto a domande su ogni tipo di argomento in maniera pressoché non filtrata. Durante la nostra conversazione, protrattasi per qualche ora, che è stata leggermente modificata e condensata per garantire maggiore chiarezza al lettore, ha parlato della sua frustrazione per la questione greca, delle sue conversazioni private con Angela Merkel e Hillary Clinton e dei suoi pensieri riguardanti le reazioni delle persone di fronte a donne di potere.
Isac Chotiner: Henry Kissinger o qualcun altro, non ricordo chi (e mi scuso per citarlo davanti a lei) disse una volta..
Christine Lagarde: [ride] Lo vedrò in giornata.
IC: Mi scuso doppiamente allora. Ha detto qualcosa a proposito del fatto che quando c’è un problema in Europa non si sa chi chiamare.
CL: Si, si, si, si.
IC: Chi chiama lei, dunque?
CL: Indovini.
IC: Angela Merkel.
CL: [annuisce e sorride.]
IC: Questo è interessante.
CL: È la realtà. Chiamo Pierre Moscovici e lui risponde al telefono. [nota 1]
IC: Merkel non risponde alle sue chiamate?
CL: No, no, no, risponde. Lavoriamo insieme. Prima ci scambiamo SMS e poi ci chiamiamo quando siamo entrambe disponibili.
IC: La Grecia e i suoi creditori hanno raggiunto un accordo che include un salvataggio in cambio di un aumento delle tasse e dei tagli alla spesa per evitare un fallimento completo del Paese e mantenerlo nell’euro. Ma considerato che Grecia e Germania continueranno a usare la stessa moneta, aspetto che alcune persone considerano il peccato originale della crisi, cosa ci garantisce che questi problemi non torneranno a manifestarsi?
CL: Innanzitutto, capisco perché contrappone Grecia e Germania. Ma ci sono altri Paesi dove la variazione del valore dell’economia e l’equilibrio dei pagamenti sarebbero potuti essere ostacoli per l’integrazione. Irlanda, Portogallo e, infine, Spagna. E chiaramente questi tre casi dimostrano che si può ricostituire una situazione in cui i Paesi possono continuare a gestirsi.
IC: Ma il problema di un’unione monetaria non è proprio che se un Paese membro fa scelte sbagliate, tutti rischiano? Sembra molto probabile che anche se la Grecia dovesse riuscire a superare questa particolare crisi, succederà ancora.
CL: Potrebbe. Potrebbe. La conseguenza del fatto che la Grecia sia membro di un’unione monetaria è che perde di fatto uno strumento per contrastare la recessione. Non può usare la svalutazione, come possono fare invece altre nazioni fuori dalla zona Euro. Si svaluta, si diventa più competitivi. Quindi bisogna ripristinare la produttività in due modi: si lavora sugli specifici costi del lavoro, come è accaduto in Portogallo, in Spagna, in Irlanda e in Grecia. E si migliora la situazione dell’economia in generale modificandola per renderla più agile e più incline all’innovazione. Questa è una scelta che la Grecia deve ancora compiere. L’altra questione che riguarda la Grecia, che secondo me la rende un caso particolare all’interno dell’eurozona, è che c’era una cultura di… [si interrompe]
IC: Può essere scortese, non c’è problema.
CL: Non voglio offendere nessuno. Stanno cercando di cambiare quel tipo di cultura. Ma c’era una cultura – a un certo livello della società – di mancanza di contributo alla società attraverso il pagamento delle tasse. Secondo la Costituzione, l’intero settore dei trasporti marittimi non è soggetto a tassazione [nota 2]. E, col passare del tempo, la definizione di cosa fosse trasporto marittimo si è gradualmente ampliata. Una delle proposte sul tavolo è di restringere la definizione di industria marittima e renderla soggetta alla tassazione. E’ un po’ bizzarro. A un certo punto, circa 18 mesi fa, il settore dei trasporti marittimi offriva volontariamente un contributo alle autorità fiscali greche perché non pagava tasse. Non è una cosa che accade in molti posti.
IC: L’FMI diversi mesi fa ha pubblicato un rapporto sul fatto che il debito greco sarebbe dovuto essere ristrutturato o cancellato e che questo sarebbe stato inevitabile.
CL: Non abbiamo detto “cancellato”. Abbiamo detto “ristrutturato”.
IC: Pensa che l’FMI avrebbe potuto o dovuto dirlo cinque anni fa? Pensa che avrebbe potuto fare la differenza, considerando gli anni di miseria che ha dovuto attraversare la Grecia?
CL: Abbiamo spinto molto per la prima ristrutturazione del debito del settore privato nell’inverno 2011 o 2012.
IC: Ma anche quella è stata comunque una mossa molto tardiva rispetto a quando è iniziata la crisi, giusto?
CL: Sa, è facile dirlo col senno di poi. Ma a quei tempi, e io non ero nel FMI allora, non c’era il Meccanismo europeo di stabilità. [nota 3] E ciascuno di noi, nei nostri Paesi, non voleva che quel caso isolato si estendesse a tutta l’Unione Europea. Ha intenzione di scrivere un libro sulla Grecia?
IC: Questa è l’ultima domanda sulla Grecia. Quando il FMI ha pubblicato quel rapporto–
CL: Non è piaciuto granché.
IC: Non è piaciuto perché c’era disaccordo sulla parte economica o perché ristrutturare il debito greco sarebbe stato un problema politico immenso?
CL: Credo che fosse più un problema politico. Con quel livello di debito, con quel piano di restituzione, con la mancanza di attrattiva della Grecia agli occhi degli investitori– tutti sanno che [la ristrutturazione] dovrà avvenire.
IC: Quindi, quando parla con Angela Merkel o il ministro delle finanze tedesco, pensa che sappiano che la ristrutturazione del debito è inevitabile e la loro opposizione è legata al sentimento dell’elettorato tedesco?
CL: Penso che la questione sia legata alla dimensione politica.
IC: Pensa che l’Europa abbia imparato che in tempi di crisi l’austerità non funziona?
CL: Non credo ci sia austerità in questo momento. Non c’è contrazione fiscale oggi. La Spagna ha lavorato molto bene. Il Regno Unito è intervenuto in maniera molto pesante – mi scusi, non avrei dovuto dirlo. Ha avuto un approccio comunicativo molto pesante sul consolidamento fiscale. Ma, in fin dei conti, l’austerità ha funzionato? In realtà, quel che ha funzionato è stata una disciplina ben bilanciata.
IC: È stata presente a molti di questi negoziati?
CL: Sì.
IC: Deve essere affascinante vedere persone provenienti da così tanti Paesi e culture differenti. Da un lato c’è la Fed, e c’è solo un banchiere di Dallas e uno di Kansas City. Ma dall’altro ci sono [il primo ministro greco] Alexis Tsipras e Merkel.
CL: Beh, innanzitutto, il modo in cui avvengono queste riunioni: ci sono una serie di riunioni preliminari per porre le basi. Poi inizia la riunione plenaria e vengono fatte affermazioni di natura diversa. E lì bisogna affrontare un ostacolo. Quindi qualcuno dice: “Facciamo una discussione di gruppo”, e si cerca di andare avanti. Poi si torna in sessione plenaria. La lunghezza di quelle discussioni di gruppo rende evidente in maniera quasi inevitabile la dimensione dell’ostacolo. Abbiamo lavorato per due notti di fila a metà luglio, poco dopo l’analisi del debito greco. L’ultimo incontro bilaterale è durato molto. Due o tre ore. E alla fine è stato portato a termine da sole quattro persone. Non le dirò chi erano.
IC: Non lo farà?
CL: No. [Ride]
IC: Voglio passare oltre: ha parlato di come è essere una donna in un ruolo di leadership. Si sente mai trattata in maniera diversa da leader internazionali o banchieri centrali perché donna?
CL: [Pausa molto lunga.] No. Non mi sento trattata in maniera diversa, ma non sono ancora certa se dipenda dall’istituzione che rappresento e dall’autorità che porta con sé, oppure se abbia a che fare col fatto che il rispetto nei miei confronti possa essere comparabile a quello che sarebbe concesso a un uomo. Sono ancora un po’ dubbiosa se le mie opinioni incontrino una risposta leggermente sbrigativa perché sono donna. Potrei avere un’opinione non del tutto equilibrata perché ritengo che i partecipanti alle riunioni e ai grandi gruppi di discussione siano stati spesso rispettosi e abbiano sovente accettato le opinioni del FMI come le ho espresse. Ma le posso dire che in molti incontri a cui ho partecipato ho notato che quando a parlare è una donna le persone iniziano a chiacchierare o a controllare le mail o a far altro. È molto, molto strano. Partecipando a grandi gruppi misti..
IC: A cosa dovrei far caso?
CL: Faccia caso a questo fatto. Spesso presiedo alcune di queste riunioni, e quando vedo che accadono queste cose do un colpetto al microfono. [Fa finta di lanciare un’occhiataccia attraverso la stanza.]
IC: Ne ha mai parlato con Merkel? Lei è presumibilmente una delle tre o quattro persone più potenti al mondo, e non mi ricordo l’ultima volta in cui una donna è stata tra queste.
CL: Penso che Thatcher sia stata l’ultima, almeno a livello europeo. Ne ho parlato con lei, ma ha un approccio differente alla questione.
IC: Com’è?
CL: Beh, saprebbe spiegare meglio lei stessa il suo pensiero, ma credo che abbia avuto un’esperienza diversa per quanto riguarda diseguaglianza e discriminazione. Ed è quel che dice di se stessa. Essendo nata e cresciuta nell’Europa dell’est non ha avuto esperienza di discriminazione tra maschi e femmine. Tutti dovevano andare a scuola. Lei stessa dice di non aver mai affrontato discriminazioni nel sistema dell’Europa dell’est. Il che non vuol dire che lo elogi.
IC: Trova che ci sia un distacco nelle questioni di disparità tra sessi tra Europa e America?
CL: Sì. Ho cresciuto uno dei miei figli in Francia, dove ho avuto assistenza all’infanzia finanziata dallo stato, dai tre mesi ai tre anni. Ho avuto bisogno del sostegno familiare, ma tutto questo è molto più accettato. Potrebbe non essere la stessa cosa in tutti i Paesi. In Germania c’è un po’ di pregiudizio culturale contro le donne che non dedicano un certo periodo della loro vita alla crescita dei propri figli. Ma qui, quando parlo con giovani madri, mi dicono che hanno grandi difficoltà a trovare sostegno.
IC: E com’è quando parla, per quanto riguarda le interruzioni? C’è una differenza?
CL: Oh, le persone non mi interrompono quando parlo. Se lo fanno, continuo a fissarle mentre espongo le mie opinioni. [Un’altra finta occhiataccia.] Immobilizza in maniera abbastanza veloce. È scortese. O sei nella stanza oppure non lo sei. Dico alle persone “Girate il vostro aggeggio a faccia in giù.” [Finge di sbattere il suo telefono a faccia in giù sul tavolo.] L’unica persona a cui è permesso usarlo è il responsabile delle comunicazioni. A volte le persone barano e le scopro.
IC: Ha qualche consiglio su come affrontare queste situazioni per le persone che concorrono per una certa posizione, come per esempio Hillary Clinton?
CL: Lei non ha bisogno dei miei consigli. È una donna forte. Come dice lei stessa, ha la pelle dura come quella di un vecchio coccodrillo.
IC: Non vedo l’ora che i repubblicani leggano questa frase.
CL: No, no, no, no, no. Pelle dura. Vecchio coccodrillo è un po’ poco gentile. Non voglio dire così. Ma bisogna avere una pelle dura nel mondo della politica, e una ancora più dura se si è donna.
IC: Ha iniziato a lavorare nel FMI in un momento in cui il suo predecessore, Dominique Strauss-Kahn, aveva avuto problemi con—
CL: Col sesso. [nota 4]
IC: Avrei detto “di genere”, ma la sua parola è meno eufemistica. Quando ha iniziato sentiva di dover cambiar registro?
CL: Non dimenticherò mai il primo incontro formale che ebbi quando arrivai. Arrivai negli Stati Uniti il 4 luglio, ho passato la notte in una tristissima camera d’albergo, e ho pensato “cosa diavolo sto facendo?” Sono andata al lavoro il 5 luglio e il primo incontro informale al quartier generale del FMI ebbe luogo o quello stesso pomeriggio o la mattina seguente. E l’ambiente, l’ansia – era una strana forma di ansia, frustrazione, attesa. Era qualcosa che non avevo mai sperimentato prima. E sentivo che dovevamo andare oltre. Che loro dovevano andare oltre. Avevano passato gli ultimi mesi, a partire dal 15 maggio, a leggere ogni mattina i nuovi risvolti dello scandalo. Per un gruppo di persone di intelligenza di alto livello, si trattava di un’occupazione un po’ debilitante. Quindi ho pensato: concentriamoci su un lavoro di qualità.
E poi [Strauss-Kahn] mi chiese se poteva passare e dire addio, perché non aveva avuto occasione. E pensai, sì, è il modo di ricucire lo strappo.
IC: Il Fondo ha anche pubblicato un rapporto sulla disuguaglianza e la crescita economica.
CL: In realtà, abbiamo pubblicato due rapporti.
IC: Come si inserisce la lotta alla disuguaglianza nella missione del FMI?
CL: Credo che le conclusioni del lavoro che abbiamo fatto siano state: uno, una disuguaglianza eccessiva è controproducente nei confronti di una crescita sostenibile. E tutti vogliamo crescita sostenibile, forte e equilibrata. Ecco, se siamo tutti d’accordo su questo obiettivo, allora non possiamo tollerare una disuguaglianza eccessiva, il che serve a giustificare il fatto che il FMI si stia muovendo in quella direzione e stia svolgendo ricerche su questo argomento. Il secondo rapporto diceva che la ridistribuzione delle ricchezze non è necessariamente un elemento che ostacola la crescita. C’era l’idea diffusa che la ridistribuzione non era favorevole all’imprenditoria, allo sfruttamento delle opportunità, e le nostre scoperte dimostrano il contrario.
IC: La preoccupa che cose come questa—
CL: Dobbiamo farle, in virtù del nostro mandato—
[Forti risate e persone che parlano ad alta voce da un tavolo vicino]
Gli americani sono così rumorosi. E’ molto bizzarro, no? E’ sempre così. [Discute con il suo assistente se spostarsi altrove.] In ogni caso, penso che abbasseranno gradualmente le loro voci. E’ quello che succede in genere.
IC: Potrebbe provare a lanciar loro occhiatacce.
CL: Sì, mi volterebbero le spalle. Quindi, credo che lavorare e analizzare la disuguaglianza sia di un’importanza critica, ma dobbiamo restringere il nostro impegno a ciò che concerne il mandato del FMI. Non posso guidare l’istituzione in territori che non sono previsti dall’atto costitutivo, perché il contraccolpo sarebbe immediato. [nota 5]
IC: Si preoccupa di questo quando il FMI si esprime su disuguaglianza e riscaldamento globale?
CL: O questioni di genere. Penso che abbiamo avuto la meglio. Il consiglio – o la maggior parte del consiglio – è convinto che sia necessario studiare l’impatto delle questioni di genere, della disuguaglianza e dei cambiamenti climatici. Credo che questo sia un buon punto, ma non è stato facile. Due anni fa c’erano diversi membri del consiglio che erano molto scettici sulla direzione di queste ricerche. Credo che ora ci siamo. Cioè, quando si riesce a dimostrare con i numeri che il contributo delle donne all’economia e alla società alza il PIL di una quantità che va dal 23% per quanto riguarda l’Arabia Saudita e l’India al 3% in America, è alquanto convincente. [nota 6]
IC: Esatto. È scioccante che il divieto di guida per le donne leda l’economia.
CL: Sì.
IC: Parlando di cose che non sembrano essere di competenza del FMI: i rifugiati in Europa. Come è stata coinvolta nella questione?
CL: Le farò un esempio. Stiamo realizzando un programma con la Giordania. La Giordania ha accresciuto la sua popolazione del 25% accogliendo rifugiati siriani. Il loro programma di consolidamento fiscale è stato completamente cambiato in modo da permettere ai giordani di affrontare il flusso di rifugiati. La seconda cosa che stiamo facendo, con la speranza che aiuti gli europei, è del lavoro analitico sull’impatto economico delle migrazioni e dei modi in cui i rifugiati sono accolti oppure no e quanto possono aiutare nazioni in cui l’invecchiamento della popolazione sta diventando un’importante questione economica.
IC: I tedeschi sembrano pensare che questa situazione possa essere in qualche modo un’opportunità.
CL: Hanno ragione.
IC: Pensa che abbiano ragione?
CL: Non voglio dare un giudizio avventato perché non sono stati ancora fatti i calcoli necessari, ma scommetterei che se il flusso è ben organizzato, sì, sarà un elemento positivo in una società che sta invecchiando e che ha lo spazio fiscale per supportarlo.
IC: È preoccupata del contraccolpo politico che potrebbe subire l’Europa? Qualcuno dell’ISIS che riesca a sfuggire ai controlli, o qualcosa del genere?
CL: Penso a due impatti diversi. Il divario che si è creato all’interno dell’eurozona, dove ci sono, per la prima volta in assoluto, ministri degli interni che devono votare per suddividere le quote di rifugiati. Di norma le decisioni sono prese all’unanimità. Cinque Paesi hanno dissentito e purtuttavia è stata impostata l’opinione della maggioranza. Il secondo è quello pratico che riguarda la gestione del flusso di rifugiati. Quello è un bel problema.
IC: Questo rientra in una questione di più ampio respiro che riguarda il FMI. Molti dicono che si tratta di un’istituzione di tecnocrati, e, a quanto pare, non soltanto in America attraverso la voce di persone come Donald Trump, ma anche in Francia con le opinioni di Marine Le Pen e il sentimento antieuropeo, siamo in un momento molto ostile ai tecnocrati.
CL: Quando qualcuno dice: “Oh, siete solo una manciata di tecnocrati”, non posso che pensare alle nostre squadre in missione che si trovano nell’occhio del ciclone. Abbiamo appena salvato una squadra impegnata in Burkina Faso.
IC: Dal colpo di stato?
CL: Dal colpo di stato. Abbiamo anche persone in Yemen. Saranno tecnocrati ma sono anche profondamente impegnati nel lavoro sul campo, lo vivono in prima persona e soffrono in prima persona. Abbiamo perso un membro dello staff a Kabul, l’anno scorso–
[Una donna ad una festa dall’altra parte della stanza comincia a parlare ad alto volume.]
E’ interessante che sia la donna ad urlare. Magari deve parlare ad un volume elevato perché altrimenti nessuno la ascolta. Ma questa è un’altra questione. Secondo punto: produciamo lavoro intellettuale sui tessuti economici della società. Non si possono fare decisioni di politica economica basandosi sul populismo. Se lo si fa, si corrono rischi seri. E il terzo punto è che, in un momento in cui si stanno costruendo così tanti muri, credo che organizzazioni multilaterali come il FMI sono utili, sono luoghi dove le persone possono confrontarsi.
IC: Quindi non rimpiange di essere stata coinvolta nella crisi greca?
CL: [Sorride.]
IC: Che autore di economia o politica le piace leggere?
CL: Martin Wolf.
IC: Nessun altro?
CL: Leggo The Economist quasi ogni settimana, non da cima a fondo, ma lo leggo. Sono sempre interessata pur con la mia dose di – non voglio dire scetticismo – ma leggo gli editoriali dei colleghi Joseph Stiglitz e Paul Krugman e dei loro pari.
IC: Sembra scettica.
CL: Penso che abbiano un loro pregiudizio. Ma rispetto il lavoro intellettuale sul quale stanno costruendo i loro piccoli editoriali e le opinioni che esprimono. Ma non sono necessariamente dei guru dell’economia. Leggo sempre quel che ha da dire Olivier Blanchard [nota 7]. Ha un’ampia capacità di comprensione delle questioni internazionali ed è pronto ad ammettere di non saper qualcosa o di aver commesso un errore. E’ una cosa che rispetto molto.
IC: Le piace vivere a Washington?
CL: Non mi piace quanto mi piace Chicago. Sono stata rovinata perché ci ho vissuto per cinque anni. Ho vissuto anche a Parigi per un periodo della mia vita. Ma mi piace D.C. Credo sia una città molto verde, pulita e varia. Ma passo qui solo il 50 percento della mia vita. Non avevo mai visto una tale concentrazione di varie categorie di persone nello stesso posto, lobbisti, avvocati, politici.
IC: Quando riconsidera il modo in cui l’Europa e le amministrazioni Bush e Obama hanno affrontato la crisi, come pensa che li giudicherà la storia?
CL: Penso – spero – che nel 2008 furono prese le decisioni giuste e furono scelti approcci di urgenza di comune accordo. Ci fu un po’ di soddisfazione dopo il primo grande stimolo, e la crescita iniziò ad accelerare.
IC: Grazie.
CL: C’è una cosa che non mi ha chiesto che voglio dire. Quando le ho detto che era di importanza critica di avere istituzioni multilaterali e forti, non riesco a capire perché le autorità americane non abbiano ratificato la riforma del FMI. [nota 8]
IC: Le posso dare una risposta.
CL: Sì. Sto dicendo che sfida la sensatezza. L’istituzione sta aiutando con la stabilità Grecia e Ucraina. E comunque. Quindi. Può dirmi a microfoni spenti cosa ne pensa.
IC: Sono felice di parlarne anche a microfoni accesi. Fa riferimento alle domande che le ho posto su populismo e ribellione. Abbiamo un partito politico che non è interessato a governare perché è ciò che vuole la base repubblicana.
CL: [Si interrompe e alza le spalle.] Comunque sia, sono andata a Messa ieri e il Papa ha detto che dovremmo avere speranza. Quindi ho speranza.
Nota 1: Il commissario europeo per gli affari economici e finanziari, le tasse e le dogane.
Nota 2: Il settore dei trasporti marittimi è responsabile per più del 7% del PIL greco. Le compagnie greche controllano quasi il 20% della flotta marittima mondiale.
Nota 3: Creato nel 2012, il Meccanismo europeo di Stabilità è stato istituito per garantire supporto finanziario ai Paesi europei in difficoltà a causa di emergenze economiche.
Nota 4: Per ricapitolare: Strauss-Kahn diede le dimissioni dal FMI dopo essere stato accusato di aver violentato una donna che lavorava al New York City Hotel, dove risiedeva. Le accuse con rilevanza penale furono infine ritirate; concluse la causa civile con la dipendente dell’albergo. Fu un disastro.
Nota 5: Il mandato del FMI è stato “aggiornato nel 2012 per includere tutte le questioni macroeconomiche e finanziarie che coinvolgono la stabilità globale”, secondo il sito del Fondo.
Nota 6: Secondo un rapporto del Fondo Monetario Internazionale, se il numero di donne impiegate come forza lavoro fosse uguale a quello degli uomini, il PIL crescerebbe del 5% negli Stati Uniti, del 9% in Giappone e del 34% in Egitto.
Nota 7: Blanchard è il capoeconomista del FMI.
Nota 8: La Casa Bianca ha cercato di convincere il Congresso ad approvare una riforma del FMI che avrebbe rafforzato gli strumenti a disposizione del Fondo per rispondere alle crisi finanziarie. I cambiamenti previsti sono stati impediti dall’opposizione repubblicana: Lagarde ha affermato “Farò la danza del ventre se è quel che serve perché gli Stati Uniti approvino.”
Questo articolo è stato pubblicato da HuffPost Usa ed è stato tradotto da Lisa Di Giuseppe

3 commenti su “Christine Lagarde, direttore FMI: “Quando parlano le donne, gli uomini fanno altro””

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