Fondazione Marisa Bellisario

AFGHANISTAN: IL DELITTO D’ONORE NON CONOSCE BATTUTE D’ARRESTO

Di Ornella De Guasto

Amina, 18 anni, scrive International New York Times, pochi giorni fa aveva accettato di lasciare il rifugio per donne nel nord Afghanistan e di tornare a casa accompagnata dallo zio e dal fratello. La ragazza era fuggita da casa per non sposare l’uomo a cui la famiglia l’aveva destinata e si era decisa di tornare in famiglia dopo che i suoi parenti avevano assicurato alle autorità che era stata perdonata e non correva alcun pericolo. Anzi per essere più convincenti, zio e fratello avevano ripetuto la promessa in un video inviato alla ministra degli Affari Femminili. Quello che è successo sulla via del ritorno è oscuro: i parenti hanno dichiarato che una banda di uomini mascherati ha trascinato la ragazza fuori dell’automobile e le ha sparato un colpo alla testa. Secondo la polizia gli assassini sono sicari assoldati dal fidanzato mentre più pragmaticamente gli attivisti diritti umani accusano la famiglia che con l‘assassinio di Amina ragazza ha così cancellato la vergogna. In base all’Afghan Women’s Network Act ogni anno nel paese si verificano almeno 150 diritti d’onore ma, mentre negli altri paesi è la legge che definisce ogni questione perché è importante come il giudice la interpreta, in Afghanistan i giudici non sono adeguatamente istruiti e spesso neppure laureati. Nonostante gli USA abbiano investito $904 milioni per la democratizzazione del paese, la recente pubblicazione Elimination of Violence Against Women e perfino il codice della Sharia proibiscano la violenza sulla donna, le leggi tribali in alcune aree sono molto più forti, una tradizione che attribuisce al padre il diritto di vita e di morte sulla figlia che già da bambina deve sposare l’uomo che lui ha prescelto, sovente per saldare debiti preesistenti, fino a quando il potere non passa al marito.
Per questo, due giovani dell’ultrareligiosa regione di Bamian, Zakia di 18 anni e Mohammad Ali 21 anni, pochi giorni fa sono fuggiti e si sono nascosti convinti che la famiglia di lei li avrebbe uccisi perché la ragazza si è rifiutata di sposare l’uomo che le era stato scelto. Intervistato, il fratello di Zakia ha detto che sì, la ragazza ha disonorato la famiglia ma aveva assicurato che “non è nostra intenzione usarle violenza. Non sappiamo neppure se è viva o morta. Se è morta vogliamo indietro il suo corpo, se è viva la rivogliamo tra noi”. Anche i parenti Amina avevano detto la stessa cosa ed è finita come è finita. Se la polizia intercetta nella strada una donna non accompagnata da un parente stretto l’arresta e la obbliga a sottoporsi in ospedale al test di verginità. Amina aveva passato il test ed era stata accolta nel rifugio. Quando, fidandosi dei parenti, aveva accettato di tornare a casa, i dirigenti del rifugio che preoccupati avevano cercato di dissuaderla, ad intervalli la chiamavano sul cellulare. Amina per l’ultima volta rispose alle 20 del 21 aprile e disse che andava tutto bene. Dalle 22 il suo cellulare non ha più risposto.

Scroll to Top