Fondazione Marisa Bellisario

MAGISTRATURA, L’ORA DELLA DONNE

Il Ministro della Giustizia Andrea su La Stampa Orlando interviene sulla parità di genere e sul ruolo presente e futuro delle donne nell’amministrazione della giustizia.

Caro Direttore,
Il 9 febbraio del 1963 il Parlamento, sotto la spinta di una sentenza della Corte costituzionale, approvava la legge che stabiliva la parità fra i sessi negli uffici pubblici e nelle libere professioni. Peggio di dimenticare un anniversario è lasciarlo scadere nella retorica, o celebrarlo secondo il solito rituale. Ci sono giorni, occasioni, in cui un anniversario torna a caricarsi di un significato speciale. Oggi è forse uno di questi.

Era una legge che in poche e semplici parole affermava un principio fondamentale: “la donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge”. Eppure, si dovettero aspettare quindici anni dall’entrata in vigore della Costituzione, e diciotto dall’introduzione del suffragio universale – ché evidentemente divenne tale solo con l’estensione del diritto di voto politico alle donne. A distanza di 53 anni, qualche giorno fa abbiamo registrato la notizia, contenuta nella relazione del Procuratore Generale della Cassazione, secondo cui il rapporto tra uomo e donna tra i magistrati in servizio, pur nella sostanziale parità, si è ribaltato a favore delle donne. La notizia non doveva stupire troppo – negli ultimi concorsi il numero di donne tra i vincitori è stato sempre più alto… – ma aveva comunque una grandissima rilevanza, che non è sfuggita al vostro giornale, e di questo la ringrazio e alla stampa internazionale, che grazie a The Guardian se ne è occupata.

Bisogna continuare ad occuparsene, perché, come ho commentato a caldo, non è ancora tempo di celebrazioni. Se è stata lunga oltre cinquant’anni la strada percorsa da quando otto donne vinsero il primo concorso in magistratura, ancora ne manca per dare piena attuazione al principio affermato allora. Di quelle otto donne, solo una è ancora in servizio e solo una ha avuto accesso alle più alte funzioni direttive: Maria Gabriella Luccioli, attualmente Presidente della prima sezione civile della Corte di Cassazione. Ancora troppo bassa è la percentuale di donne chiamate a svolgere incarichi direttivi sia nel settore giudicante sia soprattutto in quello requirente. Si tratta di un insopportabile anacronismo da superare con urgenza. Non devono però sfuggire gli sforzi compiuti negli ultimi tempi. Su 252 incarichi direttivi e semidirettivi, negli ultimi 15 mesi 68 sono stati assegnati a donne, e proprio nei giorni scorsi quattro donne sono state chiamate alla guida di importanti uffici giudiziari. È ancora poco, troppo poco. Ma è il segno evidente che si sta rompendo il tetto di cristallo che per molto tempo ha impedito l’accesso delle donne ai vertici della magistratura. E questo è anche il frutto del lavoro, dello stimolo e dell’incitamento espresso dalle componenti femminili del Consiglio Superiore della Magistratura. Devo confessare che, non molto tempo fa, ho provato un fortissimo imbarazzo durante una visita istituzionale a un Paese arabo. In uno degli incontri mi è stato segnalato come nella loro politica di riequilibrio tra i generi ci fosse stata una battuta d’arresto. Si preoccupavano del fatto che nel loro organo di autogoverno della magistratura ci fosse solo un terzo di donne. Non ho avuto il coraggio di replicare che nel nostro ce ne sono soltanto tre. Il mio augurio e il mio impegno è che in futuro possano esserci sempre più donne a condurre la battaglia nel Csm per colmare i divari ancora esistenti. Per questo una apposita Commissione ministeriale sta lavorando alla riforma della legge elettorale del Consiglio, che dovrà prevedere strumenti che favoriscano la parità di genere. L’articolo del vostro Francesco Grignetti, che ho ricordato, richiamava infine a paradossale conferma del peso delle donne in magistratura un caso negativo, tutto al femminile, che coinvolge una giudice indagata per abusi nella gestione dei beni confiscati alla mafia. Mi piace ricordare che nella difficile indagine condotta a Caltanissetta è impegnata tutta l’intelligenza di una giovane donna pubblico ministero.

Non tutto si risolve con un discorso sugli incarichi di vertice. L’impegno per un’effettiva parità di genere va rivolto più in generale. A partire da una organizzazione del lavoro che sia compatibile coi tempi di vita e da un supporto alla genitorialità, perché la giustizia e il Paese hanno bisogno di una magistratura che non viva in uno stato di isolamento e eccezionalità, ma che condivida la normalità, la bellezza e la fatica della vita quotidiana. E se questo vale per tutti i magistrati, vale a maggior ragione per le donne, che devono poter offrire, per il loro ruolo così cruciale nella società, anche un esempio per altre professioni e altri luoghi di lavoro, ad oggi ancora penalizzanti, di come l’uguaglianza delle opportunità rappresenti una risorsa preziosa in qualunque ambito si svolga l’impegno delle persone.

Il diritto e la vita, dunque. Ora, è un dato di fatto che sono state spesso le donne, nel corso di questo mezzo secolo, ad affrontare e farsi carico di delicatissime questioni sul diritto di famiglia, dei minori, sulla tutela di “nuovi” diritti, con un equilibrio tra rigore e comprensione del “caso concreto” di cui esse, nei diversi ambiti dell’agire umano, sanno essere portatrici. In questo, non vi è stata una “supplenza” nei confronti della politica, ma piuttosto un’opera di mitigazione dei ritardi nel trarre le dovute conseguenze dei principi che la politica, espressa al più livello, ha affermato nella Costituzione e nelle Carte dei diritti.

È una giustizia che si toglie la benda, e guarda in faccia gli uomini e le donne di questo mondo, e orienta con la forza dei princìpi fondamentali dell’ordinamento l’evoluzione della società, regolando con il diritto i suoi mutamenti. La giustizia è una donna, lo è sempre stata. Che sempre più spesso ha bisogno di abbassare la spada, perché i nodi in cui il generale e l’astratto si intrecciano con la carne e il sangue della vita delle persone, non richiedono tagli netti, ma l’intelligenza di mani pazienti in grado di sciogliere i grovigli. Ha bisogno di scegliere il giusto punto di appoggio della bilancia, per imporsi sul maschio gioco della forze, per non sottostare alla legge del più forte, e fare in modo che, nella giustizia, come disse una grande donna, Simone Weil, anche “il grammo possa prevalere sul chilo”
ANDREA ORLANDO
Ministro della Giustizia

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