Fondazione Marisa Bellisario

LA FORZA DELLE DONNE NEI CDA PER L’ITALIA CHE SVOLTA

Apertura dei lavori di Lella Golfo, Presidente Fondazione Marisa Bellisario

Non vi nascondo la mia felicità ed emozione e vi ringrazio per la fiducia e per avermi seguito fin qui: la vostra presenza è la conferma che la nuova classe dirigente femminile c’è e vuole confrontarsi e impegnarsi per il futuro. Ed è anche una conferma dell’instancabile lavoro svolto in questi anni dalla Fondazione Marisa Bellisario.
Le tantissime donne entrate nei CdA e collegi sindacali rappresentano per me una rivincita personale e politica. Non siedo più in Parlamento ma quella rivoluzione per cui ho tanto lottato si è compiuta ed è andata oltre ogni aspettativa! A partire dai numeri. Secondo la Consob, nelle società quotate siamo arrivati al 27.4%, oltre i limiti imposti dalla norma per il primo mandato, con un aumento di donne nei Cda del 21,2%! Non dimentichiamoci che quando ho presentato la proposta di legge, nel Maggio 2009, le donne nei CdA erano 170 e gli uomini 2602! Mentre la Banca d’Italia aveva stimato che per raggiungere il 30% ci sarebbero voluti 50 anni! Oggi l’Italia non solo è sopra la media europea ma è, insieme alla Francia, il Paese più all’avanguardia: un vero miracolo per chi, come noi, è abituato a portare la maglia nera in Europa!
Sul fronte Europeo, la coraggiosa battaglia intrapresa da Viviane Reding si è fermata su un binario morto. Nel 2013, il Parlamento Europeo aveva approvato a larga maggioranza la proposta di direttiva che prevedeva, tra le altre cose, l’esclusione dagli appalti pubblici per le imprese che non rispettano l’obiettivo del 40% di donne in CdA. Quella proposta si è poi arenata in Commissione per il disaccordo di alcuni Stati e vorrei rivolgere un invito alle parlamentari di tutti gli Stati europei a impegnarsi a rimettere in campo la battaglia sulle quote, fondamentale per lo sviluppo economico dell’Europa.
Quando mi battevo in Parlamento per l’approvazione della legge, dicevo sempre che le quote erano uno strumento e non il fine, erano la medicina per guarire la malattia dell’Italia. E lo stiamo toccando con mano: le quote funzionano e mi fa piacere che a dirlo è stata recentemente anche la Presidente Emma Marcegaglia! Tanto che nelle società pubbliche che non hanno ancora rinnovato il CdA dopo la legge, le donne sono ancora il 13,9%. Certo non dobbiamo abbassare la guardia perché tante sono le società pubbliche oggetto di una diffida per non aver rispettato la norma. Mentre, il 91,5%, pur di non applicarla ha preferito passare a un amministratore unico e ha scelto un uomo. Questa è un’ulteriore conferma che le quote sono una forzatura necessaria, e non solo per avere più donne. Grazie alla legge, infatti, i membri dei CdA sono più giovani, più istruiti, sono diminuiti quelli che occupano più consigli e i membri legati alle famiglie. Insomma, le quote hanno portato le aziende a selezionare i componenti migliori, alzando la qualità complessiva dei board e allargando la platea dei consiglieri.
Per capire gli effetti della presenza femminile sui risultati aziendali dovremo aspettare ancora qualche anno. Un dato però c’è già: le società che hanno introdotto le quote hanno ridotto l’indebitamento. Ma ancora più importante, le aziende hanno capito che avere più donne ai vertici non è solo giusto ma migliora i risultati!
Qualche mese fa, la Fondazione Bellisario ha conferito il riconoscimento la «Mela Rosa» a 226 società quotate che hanno «recepito e condiviso la Legge 120, valorizzando il talento femminile ai vertici». Il mio stupore è stato grande nel leggere le decine di lettere di Presidenti e Amministratori Delegati che ci ringraziavano per la concretezza, l’innovazione e i risultati che le donne hanno portato dentro le aziende. Per questo io sono ottimista! Da più parti mi chiedono: tra 6 anni, quando la legge cesserà? Torneremo indietro, dovremo pensare a un’altra norma? Io rispondo sempre: no, non servirà. Oggi, anche gli scettici di allora plaudono alle quote. La Merkel, che le ha introdotte, in prima fila! Non si potrà tornare indietro, questo è certo. Allora, la domanda che pongo a voi tutte è: ci basta non tornare indietro o vogliamo andare avanti? Io credo che le quote continuano a essere una grande opportunità ma devono anche diventare un progetto per il futuro. Dentro le aziende state già dimostrando il vostro valore e quanto sia indispensabile il vostro contributo. Ma è arrivato il momento di conquistate i ruoli esecutivi, quelli di Amministratore Delegato, per capirci. E nello stesso tempo, di rimandare giù l’ascensore e far salire le altre. E non possiamo fermarci qui, abbiamo un impegno morale verso le altre donne, quelle meno fortunate di noi. Bisogna far scendere a cascata la rivoluzione dai CdA e contaminare le aziende e la società tutta.
Nelle aziende, per esempio, ci dobbiamo impegnare per abbattere gli ostacoli che tante volte impediscono la carriera delle donne; introdurre criteri di selezione più equi; promuovere un’organizzazione del lavoro che faciliti l’avanzamento delle altre donne; applicare politiche di conciliazione e diffondere una diversa interpretazione della maternità in azienda, da parte delle donne e dei datori di lavoro.
L’Italia ha il tasso di partecipazione femminile più basso tra i Paesi sviluppati dopo la Turchia e il Messico: anche la Grecia fa meglio di noi. Solo il 14.1% delle giovani italiane lavora, contro il 36,9% della media dei Paesi Ocse. E le donne che lavorano, nella maggior parte dei casi lo fanno in maniera precaria, in settori poco qualificati e a fronte di un salario minore degli uomini. Il problema è sempre lo stesso: l’assenza di politiche familiari adeguate, una conciliazione mai risolta e la bassa offerta di servizi per l’infanzia. Secondo gli ultimi dati Istat, usufruisce dell’asilo nido comunale poco meno del 12% dei bimbi fra 0 e 2 anni, con differenze che vanno dal 24,8% dell’Emilia Romagna al 2% della Campania. E nel frattempo, la quota di donne occupate che ha lasciato o perso il lavoro per una maternità, è salita al 22,3%. Secondo l’Istat, due milioni d’italiane sono state costrette a scegliere tra lavoro e famiglia. L’Ocse ha calcolato il tasso di occupazione delle madri e ha piazzato l’Italia al quartultimo posto tra le economie avanzate.
Ci stiamo battendo da anni per l’uguaglianza nei luoghi di lavoro ma non la raggiungeremo mai se in famiglia ancora il 72% delle ore di cura dei figli restano a carico delle donne. E se poco più di un padre su dieci decide di andare in congedo alla nascita di un figlio. Per questo mi ha fatto piacere apprendere che il Governo ha presentato due provvedimenti collegati alla Legge di stabilità: sul congedo di paternità e sullo smart working. Il primo innalza a 15 giorni obbligatori il congedo del padre nel primo mese di vita dei figli, con due effetti fondamentali: diffondere la cultura della genitorialità condivisa e allo stesso tempo diminuire il disincentivo delle aziende ad assumere una donna, ancora molto sentito soprattutto nelle realtà con meno di 50 dipendenti. Il lavoro agile, invece, potrebbe rivoluzionare l’organizzazione del lavoro e arginare la disoccupazione femminile. Oggi, purtroppo, è presente nel 20% delle imprese ma disponibile a tutti i lavoratori solo nel 2% dei casi. Eppure, una recente ricerca del Politecnico di Milano stima che potrebbe significare 27 miliardi in più di produttività e 10 miliardi in meno di costi fissi. Un intervento legislativo, con incentivi e sgravi fiscali, è fondamentale e spero che il Governo lo approvi quanto prima. Così come mi auguro mantenga l’attenzione iniziale verso le politiche per la famiglia e la promessa di un milione di asili nido.
Abbiamo un parlamento composto al 31% da donne e mi aspetto dai vertici femminili della politica maggiore attenzione verso le tante italiane, che quotidianamente si dividono tra famiglia, figli, casa e lavoro. Questo è il vero POTERE della nuova classe dirigente femminile: il potere di allagare la platea, di tendere una mano alle altre donne perché aiutando loro aiuteranno il Paese. Il potere d’insegnare ai colleghi, ai capi e ai loro figli il rispetto e la condivisione. Questo deve essere il nostro prossimo traguardo. Qui si misurerà la nuova classe dirigente femminile. La vostra partecipazione dimostra che è possibile. Dobbiamo fare rete per raggiungere nuovi e importanti risultati, per dare ai nostri figli e nipoti un Paese migliore.
È questa la forza delle donne per l’Italia che svolta.

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