Fondazione Marisa Bellisario

ISTAT: LE DONNE VALGONO LA METÀ DEGLI UOMINI

Ogni giorno abbiamo sotto mano nuove statistiche che fotografano da varie angolazioni il gap tra uomini e donne, dando sostanza e concretezza a quella democrazia dimezzata ancora lungi dall’essere estirpata. L’ultimo dato è dei più autorevoli e viene da una ricerca che l’Istat ha condotto nell’ambito di un progetto Ocse. L’obiettivo era misurare il capitale umano nei singoli Paesi per comparare il livello di sostenibilità dei diversi sistemi di welfare. Ebbene, il capitale umano di ciascun italiano, ovvero la capacità media di ogni connazionale di generare reddito, equivarrebbe a circa 342mila euro, con una sostanziale differenza tra donne e uomini. Il dato medio riferito ai maschi è di 435 mila contro 231 mila delle donne, quasi il doppio quindi.
“Il differenziale è da mettersi in relazione alle differenze di remunerazione esistenti tra uomini e donne, ma anche al minor numero di donne che lavorano – spiega l’Istat – e al minor numero di anni lavorati in media nell’arco della loro vita”. Ovviamente molto dipende dalla nozione di capitale umano che si fa propria e in questo caso avendo l’Ocse adottato quella che gli statistici chiamano l’approccio Jorgenson-Fraumeni si opera sostanzialmente su due parametri: il livello di istruzione e il reddito percepito. E sappiamo bene come entrambi gli indicatori giochino — assieme al sostanziale monopolio «rosa» del lavoro domestico — «contro» le donne. E infatti, sempre a detta dell’Istat, “poiché le donne prevalgono di gran lunga nel lavoro domestico”, le differenze di genere si riducono sommando alle attività professionali tradizionali quelle di lavoro domestico: un calcolo più equo che porta le donne a un valore pro-capite di 431mila euro (+12,3% rispetto ai maschi).
In sostanza, si fotografa e si dà un numero ben preciso alla disparità di genere, confermando come le donne “producano” sostanzialmente di più ma come il loro lavoro venga riconosciuto, socialmente ed economicamente, esattamente la metà. E che a dirlo, numeri alla mano, siano Istat e Ocse non dovrebbe solo far riflettere ma passare all’azione con politiche concrete.
MA

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