Fondazione Marisa Bellisario

ANCHE NELL’ANTICHITÀ LE DONNE ERANO COLPEVOLI DI TUTTO

Di Ornella Del Guasto
Nel mondo antico, scrive “La Lettura” del Corriere della Sera si riteneva che la peste, come altre epidemie e calamità, fossero una punizione della Divinità causata da qualche colpa o atto sacrilego e che quindi solo una stretta osservanza o espiazione religiose avrebbero potuto sconfiggerle. Plinio il Vecchio rammenta che nel periodo Giulio-Claudio si aggiunsero nuove epidemie alle 300 già note, la lebbra apparve al tempo di Pompeo e ogni volta immancabilmente le colpe venivano addossate agli emarginati, agli stranieri e alle donne. Nel raccontare la spaventosa epidemia di pestilenza del 329 a.C. Tito Livio descrive l’accusa di veneficio mossa contro il comportamento giudicato troppo libero delle matrone romane, un’accusa che portò a indiscriminate esecuzioni di massa. Untori erano considerati anche gli ebrei e gli egizi ma in questo caso oltre l’aspetto etico c’era anche l’interesse dello Stato: la prospettiva religiosa serviva a controllare i commerci e gli eserciti, contrabbandando la peste come la giusta risposta all’invasione di culti straneri. Tiberio che era un imperatore puritano e introverso per combattere il colera proibì il bacio tra senatori come misura igienica e morale e per porre freno alla crisi economica tra le varie misure mise al bando la prostituzione delle matrone di rango equestre prendendosela soprattutto ( scrive Tacito) con una certa Sesia Vestilia, nota come pubblica meretrice nella società romana. Il pretore convocò il marito e lo interrogò per ore perché spiegasse come mai non avesse messo un freno alla condotta della moglie, il giorno dopo, lui tornò a casa mentre Vestilia fu spedita al confino nell’isola di Serifo. Tiberio con la scusa di moralizzare i costumi approfittò della peste anche per espellere da Roma Ebrei e Egizi ma 4 mila tra i più eminenti li spedì in Sardegna a combattere il brigantaggio “e poco male, commentò malignamente Tacito, se fossero morti lì di malaria”. Subito dopo l’Imperatore per mostrare la sua benevolenza fissò il prezzo del grano che era salito eccessivamente e per affermare la morale nominò vestali un’anziana vergine insieme a una giovane tra le fanciulle di antica nobiltà. La scelta dei nomi assonanti Vestilia-Vestale come esempi femminili antitetici, agli interpreti dei secoli successivi, sembrò il frutto dell’ironia tacitiana ma riflette comunque molto bene la mentalità radicata a quel tempo di voler sottomettere le donne. Sotto Marco Aurelio il vaiolo fino ad allora sconosciuto in Europa spazzò via il 20% della popolazione e studi recenti hanno dimostrato che provocò un ritardo demografico e urbanistico da cui Roma non si risollevò più.

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