Fondazione Marisa Bellisario

IRAN: SE TI RIBELLI AL VELO FINISCI IN MANICOMIO. E ALLORA #SIAMOTUTTEPAZZE

di Monica Mosca*

Ha 30 anni Ahou Daryaei e sta per conseguire il dottorato in Letteratura francese all’Islamic Azad University di Teheran. Ne parlo al presente perché voglio immaginare che quel titolo lo prenda presto. Ahou Daryaei ha i capelli lunghi neri e lo so, come lo sapete voi, perché tutti i giornali hanno ripreso e commentato con furia il video che la ritraeva proprio nel cortile del campus prima che venisse arrestata.

Un tam tam potente è rimbalzato da Teheran in ogni angolo del mondo civile e per fortuna le voci di sdegno si sono levate alte, troppo scomode: perché questa mattina, 20 novembre, proprio mentre scrivo, il portavoce della magistratura iraniana ha indetto a sorpresa una conferenza stampa e ha dato la notizia della sua liberazione.

Vedremo presto se Ahou Daryaei potrà davvero tornare alla sua vita o se invece resterà una sorvegliata speciale del regime.

Il 2 novembre era stata avvicinata nel cortile dell’università dalla gasht-e ershad, l’orrida polizia morale iraniana, che le aveva rimproverato di indossare male lo hijab, il velo islamico. Non ci sono dettagli perché il video è molto breve, girato come si intende dall’audio da alcune ragazze. Quel che si vede è che la studentessa cammina per qualche minuto in reggiseno e slip: per protesta si era spogliata di tutto, non solo del velo.

Sapevamo che era stata caricata a forza su una camionetta, poi più nulla, per 17 giorni. Sparita. Risucchiata dal regime che in Iran, come in Afghanistan, come ancora in troppe regioni del mondo, punisce, schiaccia e condanna a morte le donne colpevoli del peggior addebito: volere essere libere.

Immediata torna alla mente la vicenda di Masha Amini, arrestata a Teheran, dove era in vacanza con la famiglia, per lo stesso identico motivo. Era il settembre di due anni fa, il tempo è trascorso desolatamente invano. Masha è stata uccisa in una struttura della polizia morale, il suo corpo portava i segni di torture e violenze sessuali. Per lei esplosero vibranti le proteste internazionali e fu lanciato il movimento anti-hijab al grido di “Donna, vita, libertà”.

Si sperava che basta, sarebbe stata l’ultima vittima di una cultura indegna delle sua stessa definizione; che basta, di giovani donne massacrate per una ciocca di capelli che spunta dal velo non ce ne sarebbero state più. Basta, un grido, una supplica.

E invece no. Dopo Masha, la stessa sorte è toccata in Iran a decine di altre ragazze, arrestate, rinchiuse, uccise con sei pallottole in corpo o a furia di violenze sessuali.

Amnesty International aveva chiesto al governo iraniano il “rilascio immediato e incondizionato” di Ahou Daryaei, ma l’appello era rimasto senza risposte. Fino al 13 novembre, quando a prendere la parola era stata un’altra donna, Mehri Talebi Darestani, capo del Dipartimento Donne e Famiglia per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio. Una figura controversa nell’ambiente politico di Teheran. Aveva garantito che contro la studentessa non era stata sporta denuncia, perché il gesto dello scandalo non minava la sicurezza del Paese, era soltanto un “problema sociale”.

Ahou Daryaei è finita così in un ospedale psichiatrico, dove “è giusto che sia stata ricoverata”, perché è evidente che “la ragazza soffra di un disturbo psicologico”.

In manicomio per avere indossato male il velo. Con la camicia di forza per essersi opposta alla dicotomia culturale e filosofica che determina la tradizione e le leggi islamiche: l’uomo è il pensiero, la donna il corpo. E in quanto tale, soggiace ai maschi, altro non si può immaginare né accettare.

Il quotidiano britannico “The Guardian” ha pubblicato un’intervista a Hadi Ghaemi, il direttore del Centro per i diritti umani in Iran. «Il governo iraniano usa in modo sistematico il ricovero psichiatrico obbligatorio come strumento per reprimere il dissenso», ha dichiarato. «Chi manifesta viene marchiato come mentalmente instabile e perciò non credibile», o tantomeno di esempio.

Anche le principali associazioni di psichiatri israeliani si sono espresse con forza, firmando una carta comune che condanna l’operato arbitrario del regime: non si può combattere il movimento anti-hijab celandosi dietro diagnosi affatto scientifiche. Non è ricovero, è rapimento.

Ma tant’è, il nuovo presidente Masoud Pezeshkian, eletto a luglio, cardiochirurgo, si è già scordato di quando, due anni fa, dichiarava in pubblico che è scientificamente impossibile imporre la religione ai cittadini, per chiosare: “Tenderemo la mano dell’amicizia a tutti”.

Quelle mani delle autorità iraniane sono invece sporche del sangue delle ragazze. Il “Progetto hijab e castità”, che è legge, non è bastato a far tacere le sconsiderate che ancora pretendono un mondo libero e diritti uguali per tutti. Le pene previste per le ribelli non hanno evidentemente sortito lo sperato effetto deterrente. Regole disciplinari, telecamere per strada, sanzioni, rieducazione, fermi della polizia morale: tutto insufficiente.

E così a Teheran si sono aperte le porte infernali di un nuovo centro «dedicato al trattamento scientifico e psicologico della rimozione dell’hijab, in particolare riguardo alle adolescenti e alle donne che cercano un’identità sociale e islamica», ha ben spiegato Mehri Talebi Darestani.

Durante la conferenza stampa del rilascio di Ahou Daryaei, hanno detto che «è stato accertato che era malata ed è quindi stata ricoverata in ospedale. Ora è stata riconsegnata alla famiglia. La sua famiglia si prende cura di lei». Riconsegnata, come un pacco che torna al mittente.

#siamotuttepazze, questo è il nuovo hashtag che rimbalza nel mondo e che mi auguro con tutto il cuore non rimanga un segnetto sulla carta. Io spero che da segno si faccia titolo, e poi urlo, e poi valanga. E che Ahou Daryaei sia stata l’ultima rapita da un regime per il quale non trovo una parola unica che basti a definirlo. Orrendo, sanguinario, terribile… Forse l’ho trovata: pazzo.

*Giornalista

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5 commenti su “IRAN: SE TI RIBELLI AL VELO FINISCI IN MANICOMIO. E ALLORA #SIAMOTUTTEPAZZE”

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