Fondazione Marisa Bellisario

LE AZIENDE E LA QUESTIONE DI GENERE: PROGRESSISTE O FARLOCCHE?

Il tema dell’uguaglianza di genere continua a essere oggetto di estrema confusione, soprattutto a livello economico. Sull’Harvard Business Revievh, Avivah Wittenberg-Cox fa una bella analisi del tessuto imprenditoriale americano, catalogando le imprese in base alla loro vera, presunta, falsa o nulla attenzione alle questioni di genere.
Il punto di partenza è che non si tratta di una “questione di donne” ma di benessere economico e sociale: le donne rappresentano un’opportunità e se non ci mettiamo d’accordo su questo, qualsiasi analisi perde senso. Assodato che avere vertici “misti” conviene, le ricerche dimostrano che le donne salgono i gradini della gerarchia solo se e quando il CEO si fa personalmente portavoce del loro empowerment. E chiariamo, il CEO in questione è anche e soprattutto un uomo. Perché un leader uomo a favore dell’equilibrio di genere in azienda risulta credibile e affidabile e le prime linee (maschili) scioglierannoi loro dubbi nel seguirne la linea progressista.

Come si riconosce se un CEO è un buon leader sulle questioni di genere? Secondo la studiosa americana non valgono a niente i proclami. Il CEO sarà sinceramente e convintamente dalla parte delle donne solo se la percentuale femminile nelle prime linee della sua azienda andrà oltre un misero 10%… E, badate bene, non funzionano più le donne come specchietto per le allodole confinate nelle risorse umane o nella comunicazione…ruoli strategici e di staff sono l’unica garanzia di autenticità delle sue intenzioni.
In base a questo principio, Wittenberg-Cox cataloga le aziende in “progressiste”, ovvero quelle che attuano un concreto, efficace e reale bilanciamento di genere a tutti i livelli (anche e soprattutto alti), in tutte le funzioni e settori. Seguono le aziende farloccamente pro equità, ovvero quelle che strombazzano ragionamenti politicamente correttissimi, che si proclamano a favore dell’equilibrio, che pubblicizzano iniziative di welfare aziendale, partecipano o addirittura promuovono grandi eventi a favore delle pari opportunità in azienda ma poi… poi confinano le donne al livello di quadro e le escludono dai ruoli decisionali. E, infine, ci sono le imprese che della questione di genere sono totalmente disinteressate…ormai a dire il vero poche.
Certo, il grado di avanzamento e modernità delle aziende, soprattutto italiane, continua a essere influenzato dal settore – si pensi a quello finanziario – e dal fatto che per arrivare a ruoli di leadership le donne devono percorrere tutti i gradini della carriera e scontano gran ritardo. Ma le aziende “oneste”, quelle per le quali il genere con è un bollino di immagine senza contenuto, stanno lavorando in questo senso, costruendo un middle management in cui le donne rappresentano il 50% per assicurare nel breve tempo prime linee al femminile.

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