di Ornella del Guasto*
La straripante vittoria di Donald Trump e la selezione dei suoi collaboratori provocheranno ineluttabili assestamenti politici, commerciali, culturali e diplomatici in tutto il mondo. Perché nella geopolitica internazionale uno degli attori, gli USA, il principale in termini di grande potenza, cambia radicalmente guida, tattica e strategia e gli effetti a breve saranno avvertiti da tutti gli altri: Cina, Russia, Ucraina, Medio Oriente, Iran e Paesi amici, nemici, complici, opportunisti, simpatizzanti. Soprattutto trema l’Europa consapevole della scarsa simpatia di cui gode presso Trump che è più interessato adesso a preoccuparsi, oltre al cronico centro di crisi del Medio Oriente, alle nuove problematiche che si aprono dell’immenso spazio dell’Indo Pacifico: l’espansionismo della Cina su Taiwan e sulle rotte marittime, la crescita delle ambizioni dell’India, l’inquietante alleanza di Nord Corea e Russia. Trump è quindi ansioso di disinteressarsi delle beghe dell’Europa divisa e incapace, secondo lui, di provvedere autonomamente a se stessa. Per questo già prima la campagna elettorale non ha mancato di minacciare dazi all’importazione. Un’ipotesi prevista e anticipata con preoccupazione da Mario Draghi che, nel suo rapporto sulla Futura Competitività Europea, ha sollecitato i Paesi membri, impigriti sotto il comodo ombrello americano, a impostare rapidamente un’unità sugli argomenti fondamentali dell’Economia, dell’Innovazione e della Difesa per prepararsi alle sfide che si prospettano all’orizzonte.
Possiamo contare ancora sugli Usa per la difesa dell’Europa? Quale sarà adesso la politica estera e politica economica americana? Si domandano inquieti gli europei dal momento che l’indiscussa influenza degli Stati Uniti sulla loro economia è il cardine di questa preoccupazione. Fino ad oggi una comoda dipendenza ha enfatizzato per loro il ruolo degli USA che negli ultimi anni sono diventati il principale mercato dei prodotti esportati dall’Europa che a sua volta progressivamente li ha anche sostituiti alla Russia come sua principale fonte di energia importata. Così negli ultimi anni gli USA hanno consolidato la loro posizione come il più importante mercato di esportazione per i prodotti europei mentre si fermavano le importazioni europee dalla Cina, un’asimmetria che secondo gli economisti darà adesso a Trump una leva nei negoziati commerciali.
Per quanto poi riguarda la politica estera il 16 novembre, prima del cambio alla Casa Bianca, Mosca ha subito mostrato le sue intenzioni bombardando con 120 missili e 60 droni non solo Kiev ma quasi tutto il territorio dell’Ucraina puntando soprattutto alle infrastrutture energetiche. Una mossa che ha subito vanificato le speranze che si erano aperte con le lunghe telefonate, subito dopo la elezione presidenziali americane, tra Trump e Putin e tra il presidente tedesco Scholz e Putin nel corso delle quali, dopo le rituali reciproche accuse, sembrava che le parti avessero assunto una posizione più sfumata. Anche perché in molti Paesi europei, soprattutto in quelli nordici di confine, si va diffondendo la convinzione che la pace potrà arrivare ormai solo dopo un negoziato e che Kiev proprio per la sua sicurezza debba fare qualche concessione sui territori occupati dalle truppe russe. Invece subito dopo l’assalto russo, a complicare il quadro, Joe Biden ancora in carica ha autorizzato l’Ucraina a usare a sua volta i missili a lungo raggio americani Atacms (Army Tactical Missile Systems) per colpire il territorio russo. Secondo New York Times all’inizio, i missili probabilmente saranno dispiegati a difesa delle truppe ucraine trincerate nella regione di Kursk contro le truppe russe e nord coreane ammassate sul confine. Quindi non solo per il presidente uscente una sorta di riscatto personale ma un indiretto ammonimento alla Corea del Nord che ha stretto un’inquietante alleanza militare con Mosca inviando in aiuto sul fronte ucraino 10 mila soldati.
Adesso il futuro diventa un’incognita, compreso il rischio di escalation allargata. Con questa mossa Biden vuole lasciare un segno dopo la clamorosa sconfitta del partito Democratico che ha dimostrato di non essere in contatto con la realtà, senza rendersi conto che mentre l’economia americana d’élite nel suo complesso migliorava, il Paese profondo si sentiva abbandonato. Donald Trump, come molti analisti avevano previsto, al contrario è riuscito a intercettare il voto dell’America profonda soprattutto dei neri e dei latinos che fino a poco fa sono stati i tradizionali sostegni dei democratici. I poveri e la classe media, preoccupati del quotidiano, non si sono fatti illudere dalla cultura woke e dal mondo patinato dello spettacolo e con il voto più che sulla politica estera pretendono attenzione sui problemi interni, galvanizzati dal fascino perverso di Elon Musk, neo Segretario all’Efficienza, nei fatti il numero 2 del prossimo Governo, che prospetta loro mirabolanti soluzioni tecnologiche. Senza però accorgersi, ha commentato il Corriere della Sera, che Musk nelle sue promesse traccia un disegno strategico che scavalca quelli che in Occidente sono considerati i diritti conquistati in lotte sociali di decenni, prospettando spregiudicatamente una nuova società dove, grazie alle nuove tecnologie, una minoranza al potere dal quoziente intellettuale altissimo come lui (ha già avviato il reclutamento) terrà in pugno tutti gli altri. Con Trump e Musk sarà questa la versione aggiornata della tradizionale filosofia del “It’s economy stupid”, la famosa frase-bandiera che aiutò Clinton a essere eletto? “L’economia innanzi tutto”, un leit motiv tornato di attualità dopo alcuni recenti moniti di esperti sulle grandi, inarrestabili mutazioni che porterà presto nella nostra vita la fragorosa entrata dell’Intelligenza Artificiale che si accinge a mettere l’umanità davanti a una rivoluzione mai affrontata prima.
*Political and socio-economic analyst