di Cinzia Pennesi*
Perché il silenzio è già complicità
L’omicidio di Gentiana a Tolentino, massacrata in pieno giorno dall’ex marito sotto gli occhi dei passanti, è l’ennesimo capitolo di una guerra silenziosa che si consuma ogni giorno. Spesso tra le mura domestiche, altre volte – come in questo caso – alla luce del sole.
È femminicidio. E chiamarlo così non è un eccesso retorico: è necessità di verità.
Tolentino è la mia città. I giardini pubblici dove tutto è accaduto sono a pochi passi da casa mia.
Gentiana Kopili, 45 anni, era al telefono con un’amica. L’ex marito era a prendere un gelato con il figlio. Poi saluta il figlio, prende un monopattino – per non destare sospetti, poiché Gentiana avrebbe riconosciuto la sua auto – la raggiunge e la uccide con violente coltellate. E infierisce su di lei con calci, davanti agli occhi dei passanti.
Lei, a cui vanno le nostre ennesime lacrime, era rimasta nonostante i maltrattamenti. Per i figli. Due figli oggi improvvisamente orfani, privati della madre dalla violenza di colui che con lei li aveva generati.
Destini di cui perdiamo troppo spesso le tracce: quelli dei figli di tale assurda violenza.
Il femminicidio riguarda tutti.
Ancora una volta, ci troviamo a commentare. A dire che forse si poteva fare di più. Che si poteva evitare. Come sempre. Ma il gesto di Nikollaq Hudhra non nasce nel vuoto. Affonda le sue radici in un sistema culturale che, troppo a lungo, ha legittimato l’idea che l’uomo abbia l’ultima parola.
Viviamo in una cultura che ha costruito per secoli la mascolinità sul possesso, sul dominio, sul controllo. Una cultura in cui la parola potere si è trasformata nel suo opposto: abuso di potere.
E questa volta – come ogni volta – non possiamo limitarci a condannare. Serve di più. Serve un’assunzione di responsabilità. E non da parte delle donne, che questa violenza la subiscono. Ma da parte degli uomini.
Per troppo tempo il discorso pubblico sulla violenza di genere è stato sostenuto quasi esclusivamente da voci femminili. Donne che denunciano, che resistono, che muoiono.
Ma non basta più.
È tempo che gli uomini parlino. Che si guardino dentro.
Che riconoscano come, anche quando non sono autori di violenza, possono essere parte di quella cultura che legittima il controllo, il possesso, la punizione emotiva.
È tempo che si allontanino da tutto questo. Che prendano posizione. Chiara. Pubblica. Quotidiana.
Ecco, abbiamo bisogno di voi!
La violenza non è solo un retaggio patriarcale vecchio e superato. L’età di chi uccide si abbassa. E questo è un segnale gravissimo: stiamo allevando nuove generazioni incapaci di gestire la frustrazione, la fine di un legame, l’autonomia dell’altro.
Maschi che reagiscono alla libertà femminile con rabbia. Alla dissonanza, con aggressione.
Da musicista, so che l’armonia è importante, ma la dissonanza è necessaria: è tensione che apre, che trasforma.
Anche nelle relazioni, dobbiamo tornare a vedere nella differenza un nutrimento, non una minaccia.
Un “no” non è un’umiliazione: è un diritto.
Un punto di vista diverso non è un affronto: è una possibilità di crescita.
Se vogliamo davvero fermare questa spirale, dobbiamo costruire una cultura dell’ascolto.
E gli uomini devono essere protagonisti di questo cambiamento.
Dovete essere voi a dire agli altri uomini: “Così non va bene. Basta.”
Non solo nei centri per uomini maltrattanti o potenzialmente violenti: dappertutto.
Ogni giorno.
Parola dopo parola, gesto dopo gesto.
A partire dal dissenso verso le “battutine”, dal rifiuto del linguaggio sessista, dalle conversazioni discriminatorie tra amici, colleghi, figli. Nei bar, sui social, in famiglia.
Finché la parola verrà solo da fuori, resterà percepita come accusa.
Ma detta da voi, può diventare trasformazione.
Non basta più non fare del male.
Bisogna scegliere da che parte stare.
#Stopviolenza #Gentiana #responsabilitàmaschile #Culturadelrispetto #rompiilsilenzio
*Direttrice dì orchestra, Referente Marche per la Fondazione Marisa Bellisario, Tedspeaker