di Benedetta Cosmi*
Milano, come gli Stati Uniti d’America, al di là delle amministrazioni e dei colori, ha sempre dato un senso di «continuità amministrativa».
«Milano si è rotta?». Quando ho visto la foto notizia, a mezzanotte, sul quotidiano dell’indomani, con Corvetto messa a fuoco e fiamme, ho avuto un momento di rigidità. «È reale?». Non vogliamo dare benzina, da mettere sul fuoco, soprattutto in circostanze di disagi che richiedono dignità e soluzioni. Non farebbe bene a nessuno: alla famiglia delle vittime (e in questo caso stiamo pensando a Ramy), ai cittadini che ci vivono (e vogliono poter contare sugli uomini, e le donne, della Polizia). All’immagine di una città che si fa in quattro con il suo senso civico (e pensiamo a ogni quartiere che da un paio di anni ha creato un comitato degli Angeli del Bello per tenere puliti i parchi, i navigli, le aiuole di Sarpi la cosiddetta ChinaTown, le piazze del centro e della periferia). Se si vuole parlare di immigrazione e scontro con le forze dell’ordine a proposito del caso Corvetto, si guarda solo in superficie, e con lenti non adatte, c’è una distrazione più profonda e una trascuratezza più grave (verso chi vi opera, ma vediamo con calma).
Se cerchiamo Corvetto la prima cosa che ci appare è (nel quartiere in cui prima sorgeva una dimora patrizia settecentesca, cascinale, con un arco barocco) la sopraelevata che immette nell’A1, vista da viale Lucania. Un arco gigante al contrario e grigio, una metafora di una vita, «sopra» elevata a «una sotto». Accanto alla recente drammatica, inaspettata vicenda di cronaca, ne troviamo un’altra di due mesi prima: per vederla bisogna volersi occupare di cronaca bianca e prevenzione. Non farlo è il gioco perverso della criminalità che è sempre in cerca di «personale». Allora vediamo di leggere la notizia (che non si è filato nessuno) «Sporting Corvetto, il tennis sotto sfratto: via 21 campi sportivi», «a rischio patrimonio sociale». Medesima zona. «Così si distrugge un patrimonio sportivo e sociale, una vita di investimenti. E il Comune si nega al confronto». Corvetto, le due facce, il distretto del tennis e quel suolo «terra di nessuno». In un’immensa area alla periferia est, che connette anche i quartieri Rogoredo e Santa Giulia; dominata dai terreni acquitrinosi non ancora bonificati dell’ex discoteca Karma confiscati alla criminalità organizzata e in cui decine di capannoni, ovviamente abusivi, coesistono a società che invece da mezzo secolo sono un luogo di aggregazione per gli abitanti di Corvetto. Per quest’ultime ci aspetteremmo che l’amministrazione provasse ammirazione, desse un Ambrogino d’oro e invece cosa fa: dirama intenzione di sfratto. Allora, sono correlati due episodi che fin qui sembravano pagine diverse dell’edizione milanese.
Parlando della medesima sensazione di abbandono, della stessa amministrazione comunale, della stessa idea di città – che ricordiamo ha avuto bisogno di un intervento da Roma per «Salva Milano» e lo sblocco dei cantieri. Servirebbe un lungo corso (per pacifisti e non), di tennis, sarebbe un modo per ringraziare le forze dell’ordine del lavoro impavido che fanno nelle notti solitarie contro ignoti e noti. Guardiamo alla prevenzione o abbiamo perso. Promessi 600 nuovi agenti, e i 21 campi sportivi? Si dirà, «erano due ragazzi persi, quelli che nella notte sono sfuggiti ai controlli». La polizia vede, quello che la società dice mesi prima.
*Scrittrice, opinionista Corriere della sera
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