di Suor Anna Monia Alfieri*
Profonde ragioni storiche, oltre che culturali e sociali, hanno reso fragile una componente importante della persona umana e cioè la donna. È sotto gli occhi di tutti che tale fragilità fisica – non certamente anche morale – soccombe nelle relazioni malate. Le vicende e le sofferenze della vita possono innalzare anche di molto la possibilità di una perdita di controllo rispetto ai diritti e ai doveri di cui la persona umana è portatrice, primo fra tutti il diritto alla vita e alla felicità. Nessuna società, nessun gruppo, nessuna relazione affettiva, ma anche economica, politica e sociale può esistere, se viene meno questo diritto, su cui ruota ogni passaggio di crescita e di sviluppo. Questo aspetto di realtà in divenire rende fondamentale per l’essere umano l’esperienza della “formazione”, di cui la scuola, insieme alla famiglia, è un attore importante. La considerazione oggettiva dei nostri tempi, al di là dei corsi e ricorsi storici, mostra un indebolimento della solidità dei rapporti e una conseguente fatica, se non rottura in molti casi, del patto educativo tra la famiglia e la scuola.
Pare azzardato pensare che una persona equilibrata possa formarsi indipendentemente dal contributo di entrambe queste realtà ed è ovvio che l’una non può giustificare totalmente la propria inefficacia sulla base del fallimento dell’altra. Occorre, per i tempi che viviamo, riconoscere la fragilità e dell’una e dell’altra, cercando di riportare al centro le vere esigenze della persona in formazione, secondo le indicazioni che le scienze umane offrono all’attenzione di menti oneste.
Chiaramente la povertà, lo sfilacciamento dei rapporti, la mancanza di risorse “culturali” intese come patrimoni di buon senso e di equilibrio nelle famiglie e, nella scuola, il grave vulnus di una mancata libertà di scelta educativa da parte dei genitori, con un conseguente calo del significato e dell’interesse per una scuola di qualità, in sinergia con la famiglia: tutto questo ci appare oggi come un pericoloso baratro.
I femminicidi e ogni mancanza di rispetto e di cura verso la persona, dai congiunti ai familiari, dalle relazioni affettive di ogni genere agli elementi primordiali di convivenza civile espressi magistralmente nell’antico Decalogo – non rubare, non uccidere, non violare – non possono che essere il frutto di una mancanza di formazione familiare e scolastica a cui ciascuno, nel proprio ambito, deve cercare di porre rimedio, senza pretese di esclusività, bensì di compenetrazione degli obiettivi.
Urge, dunque, questo tipo di formazione per le nuove generazioni, parimenti urge uno scatto di responsabilità da parte degli adulti, perché siano consapevoli che il loro comportamento è sotto gli occhi dei giovani, dei loro figli, di tutte le età. E occorre creare un nuovo habitus mentale che abbandoni l’idea del possesso, perché dal possesso delle cose il passaggio al possesso delle persone è dietro l’angolo, così come è importante formare i giovani, fin dalla più tenera età, all’importanza formativa della sconfitta e della chiara percezione dei propri limiti.
Solo su queste basi può essere condotta la lotta al femminicidio, così come contro ogni altra forma di violenza. Diversamente sarà sempre l’ennesimo slogan pronunciato in occasione del singolo episodio ma, come tutti gli slogan, saranno parole vuote, dunque inutili.
*Senior Lecturer ALTIS, Graduate School of Sustainable Management
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