Fondazione Marisa Bellisario

LA FAME E LA SETE DELLA TERRA

di Ornella Del Guasto*

Ogni giorno rivela la crescente pervasività che hanno ormai nella nostra vita le tecnologie, tanto che da tempo anche la Chiesa Cattolica sta valutando le sfide – e le possibili opportunità – poste dall’esplosione dell’interesse pubblico per l’Intelligenza Artificiale. Non a caso Papa Francesco, nel suo messaggio annuale per la pace di quest’anno, ha chiesto un trattato internazionale che garantisca il suo uso etico e il Vaticano ha nominato un frate dell’ordine medievale francescano grande esperto di IA che ha tenuto sermoni guidati da un chatbot, un software che simula le conversazioni umane.

Soprattutto al momento è in Economia e nell’Ambiente che cresce la preoccupazione tra gli esperti su come governare il precipitare nel quotidiano dell’innovazione perché nella nostra società tecnologica l’attenzione sarà sempre più condizionata oltre che dalla fame di elettricità, dalla scarsità di un bene ancora più prezioso: l’acqua.

L’ultima allerta in questo senso arriva da un’indagine di Financial Times che ci sollecita a porci subito il dilemma di come governare l’innovazione tecnologica dato che la prospettiva paventata dagli economisti e ambientalisti è una prossima “esplosione” della sete, proprio a causa dell’inarrestabile avanzata dell’IA. Le macchine che oggi ci entusiasmano perché sono in grado di rispondere ai nostri interrogativi, nel 2023 hanno usato 7 miliardi di litri di acqua. In galloni (ogni gallone corrisponde a circa 3 litri e 800) il consumo è passato dagli 1,13 miliardi del pre-Covid agli attuali 1,85 miliardi. Lo scorso novembre Bank of America ha stimato che i “data center” USA siano diventati il decimo consumatore di acqua mentre, denunciano gli ambientalisti, alcune aree del territorio americano cominciano a essere devastate dalla siccità.

«Stiamo solo assistendo alle prime fasi di quella che sarà la Grande Storia del XXI secolo» sostiene Nate Halverson, giornalista-analista del Center for Investigative Reporting (CIR) di Emeryville, California, e per avvalorare la sua tesi ha fatto riferimento al documentario The Grab (la Presa ) della regista Gabriela Cowperthwaite, immesso in circuito a fine 2022 che, proprio in previsione del rischi di un’imminente penuria di beni di necessità vitale delinea, con documentata chiarezza, come molti governi, investitori finanziari e magnati industriali se ne siano resi conto da tempo e si stiano già sommessamente muovendo per accaparrarsi risorse alimentari e idriche in giro per il mondo senza preoccuparsi dei locali.

La regista americana Gabriela Cowperthwaite è specializzata in documentari che produce, monta, scrive e dirige anche per la televisione che trattano sempre questioni sociali, culturali e ambientali relative a eventi della vita reale (il suo film “Blackfish” ha ricevuto una nomination ai BAFTA come miglior documentario). The Grab, che è stato filmato nel corso di sei anni coinvolgendo oltre ad Halverson, esperti e attivisti, ha il ritmo di un thriller investigativo e ha avuto il merito di aver acceso i riflettori su imprevisti accaparratori delle risorse della terra che si muovono già da tempo da protagonisti sulla scena internazionale. Il documentario parte da un avvenimento in apparenza trascurabile: l’acquisto nel 2013 da parte della Cina del conglomerato alimentare statunitense Smithfield Foods – il più grande produttore di carne di maiale del Paese. Il gruppo americano è stato venduto alla società con sede a Hong Kong (ma di proprietà del governo cinese) WH Group per 7,1 miliardi di dollari. Si è trattato della più grande acquisizione cinese mai effettuata di un’azienda americana. Praticamente da un giorno all’altro, hanno calcolato i media, il Gruppo WH, precedentemente chiamato Shuanghui International, ha acquisito la proprietà di quasi un maiale americano su quattro. Un affare così enorme non è passato inosservato tanto che nell’udienza al Congresso la vendita è stata messa in dubbio ma Halverson è riuscito invece, durante una visita a sorpresa al quartier generale della società, a entrare in possesso di un documento segreto che descriveva dettagliatamente ogni dollaro dell’accordo.

Smithfield è stato però solo il primo esempio di uno schema molto più ampio perché l’accaparramento delle risorse mondiali più o meno nascostamente sta proseguendo dovunque. Dopo che l’Arabia Saudita per motivi di “sicurezza nazionale” ha sollecitato le compagnie nazionali ad acquistare risorse all’estero, nella contea rurale di La Paz, in Arizona, un’azienda saudita ha acquistato circa 15 miglia quadrati di terreno agricolo ricco di falde acquifere. Adesso i residenti hanno scoperto di essere rimasti senza acqua perché le fonti idriche sono state praticamente prosciugate e di non avere alcuno strumento legale adeguato per fare ricorso. Stessa situazione in altre aree del mondo: l’Arabia Saudita ha proseguito i suoi intenti acquistando immense distese di terreni in Zambia, Paese dove la troupe della regista ha raccolto la disperazione dei contadini cacciati da tempo dalle loro terre da milizie mercenarie per far posto a terreni commerciali controllati da attori esterni provenienti da vari paesi: Cina, Stati del Golfo, Stati Uniti….

Le tappe di questa aggressione sono geograficamente disparate, diversificate e ben occultate. Come la Cina che in particolare da tempo sta investendo miliardi dollari nelle miniere e nella lavorazione del nichel in Indonesia e del cobalto nel Congo che le stanno consentendo di aumentare la sua competitività rispettivamente sul mercato mondiale dei veicoli elettrici e delle batterie. Ma è soprattutto drammatica la corsa per ottenere terreni agricoli a spese dei residenti locali, “è la nuova colonizzazione”, denunciano gli avvocati che lottano per i diritti di proprietà degli indigeni. Anche perché alla base di questi sviluppi non c’è alcuna attenzione per l’ambiente: si tratta solo di business, affari, utile appropriazione tempestiva delle risorse della terra. Persino nell’invasione russa dell’Ucraina, grande esportatore di cereali nel mondo (fra gennaio e novembre 23 Kiev ha esportato cereali per oltre 7,4 miliardi di dollari), il documentario ha visto il desiderio del Cremlino di poter controllare il pane.

Secondo The Grab, ciò che è stato il petrolio per il XX secolo, il cibo e l’acqua lo saranno per il prossimo futuro. Riguarda una varietà di attori, che si muovono nella consapevolezza che ogni singolo essere umano ha bisogno di cibo e acqua e che non c’è abbastanza terra coltivabile sulla Terra per l’aumento previsto di 2 miliardi di persone entro il 2050. L’istinto, a livello primordiale e nazionale, è quindi quello di anticipare i temp,i vuoi per garantirsi la sicurezza vuoi per arricchirsi. Il ritmo di espansione di questi attori non farà che aggiungere stress alla terra e quindi nel mondo le comunità locali e gli operatori che cominciano a rendersene conto stanno incrociando le armi per difendersi.

The Grab ha una chiara dichiarazione d’intenti: se riesci a vedere lo schema, se riesci a riconoscere “la presa” e la vasta e scoraggiante interconnessione, puoi iniziare a elaborare strategie per un mondo migliore e meno mercenario. «Nell’Occidente sviluppato, ci sono molte cose che possiamo fare come individui», conclude la Cowperthwaite: «mangiare meno carne, ridurre gli sprechi alimentari, comprare meno» mentre a livello politico, spera che il suo documentario possa promuovere la formazione di un centro nazionale americano per l’acqua, che gestisca l’approvvigionamento idrico a protezione delle masse al momento ancora senza difesa.

Oggi all’inquietante quadro si sta aggiungendo il pericolo dei consumi IA. Contro la diffusione intensiva delle tecnologie gli ambientalisti puntano il dito proprio sulle esigenze dei “data center”: nel 2023 Google ha aumentato del 14% il consumo di acqua e Microsoft ha ammesso che il 42% dei suoi consumi globali ora si trova in aree sotto forte stress siccitoso ma tutte le grandi aziende tech cominciano a rendersi conto del crescente problema per cui stanno cercando di limitare i loro prelievi idrici e, dove possibile, di riciclare l’acqua. Al momento, però, nonostante alcune buone intenzioni, il contesto generale parla ancora la lingua geli affari e dell’appropriazione indebita di pochi potenti. Capitalismo spregiudicato.

*Political and socio-economic analyst

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