Fondazione Marisa Bellisario

IN CALABRIA, DOVE LA ‘NDRANGHETA VIETA ALLE DONNE DI ESSERE LIBERE

di Paola La Salvia*

Sono drammatici i risultati emersi da un’attività di monitoraggio sui casi di violenza sulle donne effettuata in cooperazione tra la Caritas della Diocesi di Gerace-Locri, le Forze dell’Ordine, i servizi sociali dei comuni limitrofi e alcune associazioni: il 50 per cento degli episodi di violenza contro le donne, registrati in quel territorio, proviene da ambienti di ‘Ndrangheta. Questo dato dimostra come la violenza nei confronti delle donne nelle famiglie mafiose sia un fenomeno drammaticamente diffuso; perché la ‘Ndrangheta nei confronti delle donne è ancora più violenta.

In questo contesto vorrei ricordare quello che ritengo sia stato uno dei casi di ‘lupara rosa’ più agghiaccianti della storia di mafia. La scomparsa di Maria Chindano, imprenditrice e mamma di 42 anni, rapita e fatta sparire il 6 maggio 2016 dinanzi alla sua tenuta agricola di Limbadi nel vibonese, “colpevole” di voler essere una donna libera. La ricostruzione sui fatti avvenuti è emersa dalla recente dichiarazione di un collaboratore di giustizia, nell’ambito di un maxi processo contro esponenti e boss mafiosi. Questa donna, dopo il suicidio del marito, ha coraggiosamente deciso di prendere in mano le redini dell’azienda di famiglia, di portare avanti scelte e progetti in un contesto territoriale e culturale molto difficile, impregnato da mentalità patriarcale. Non le è stata perdonata questa sua voglia di essere indipendente, di essere libera, di essere donna. Un collaboratore di giustizia ha riferito che Maria si è opposta alla mafia che voleva i suoi terreni. A colpire è soprattutto il racconto della sua morte drammatica e straziante, è stata rapita e sarebbe stata data in pasto ai maiali e i suoi poveri resti macinati con un trattore e sparsi sul terreno.

In questi anni trascorsi dalla morte di Maria Chindano, sia in provincia di Vibo Valentia come nel resto della Regione, si notano segnali di un cambiamento possibile, visibile ed esempio nei volti presenti ai sit-in organizzati in ricordo suo e delle altre vittime di mafia, ora gli imprenditori hanno cominciato a denunciare e, cosa molto importante, sta crescendo il numero dei collaboratori di giustizia. Sempre a Limbadi, a pochi chilometri dal cancello dell’azienda agricola di Maria, c’è un bene confiscato alla mafia intitolato proprio a lei e l’Università della Calabria ha dedicato un premio di laurea a Maria Chindano, per le tesi aventi ad oggetto “la Violenza di Genere e Femminicidio con particolare riferimento ai contesti di criminalità organizzata”.

La figlia Federica è iscritta alla Facoltà di Giurisprudenza e sogna un giorno di diventare magistrato nella sua terra, perché in Calabria la speranza esiste ancora e risiede nelle gesta delle persone perbene. Quella speranza con la esse maiuscola che non assomiglia al dubbio ma alla certezza. Per questo è necessario maturare una coscienza preventiva, smarcandosi dall’assunto che la ‘Ndrangheta si combatte solo attraverso la repressione penale. Prevenzione contro la mafia significa favorire innanzitutto l’emancipazione culturale, perché la mafia perde terreno man mano che si illuminano le menti e i cuori, soprattutto dei nostri giovani.

*Tenente Colonnello della Guardia di Finanza

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3 commenti su “IN CALABRIA, DOVE LA ‘NDRANGHETA VIETA ALLE DONNE DI ESSERE LIBERE”

  1. Grazie Paola per questa articolo forte e coraggioso, parole che trasmettono la speranza

  2. Belle parole Paola ! Speriamo davvero che le nuove generazioni sappiano scrollarsi di dosso tutto il marcio con cui dovranno fare i conti.

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