di Biancamaria Raganelli*
Nel contesto del più ampio dibattito sui valori della diversità e dell’inclusione, si continua a discutere di parità di genere, non solo in termini di diritti civili, ma anche come un pilastro fondamentale per lo sviluppo sostenibile. Da cui la necessità di favorire un ambiente – sul mercato, all’interno delle imprese e nelle istituzioni a tutti i livelli – in cui tutti i generi possano esprimere appieno il proprio potenziale.
Come evidenziato in diversi studi, garantire pari opportunità a uomini e donne non solo contribuisce a creare società più eque, ma favorisce anche una crescita economica più inclusiva e duratura. Nel contempo, premia le imprese più “virtuose”, che sono in grado di creare maggior valore in termini di reputazione e capacità di attrarre talenti e investimenti.
Nonostante i notevoli passi avanti, la strada appare ancora lunga e piena di insidie culturali, prima ancora che professionali ed economiche, con notevoli differenze da Paese a Paese, come mostra anche l’ultimo rapporto Equal Measures 2030, che valuta il progresso di 139 Paesi sulla base di indicatori collegati a 14 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
La posizione dell’Italia al 31º posto suggerisce che, nonostante l’impegno, rimangono margini importanti di miglioramento. Come noto, l’occupazione femminile è cresciuta nel tempo, ma stando ai dati ISTAT, l’Italia resta, insieme a Malta e Grecia, uno dei paesi europei con la più bassa componente femminile nell’occupazione. Se è vero che nel pubblico impiego la maggioranza degli occupati è donna, solo 1 su 3 delle posizioni apicali sono ricoperte da donne.
Sul piano politico e regolamentare si è cercato di introdurre alcuni meccanismi correttivi.
In Europa da fine 2024 si applica la direttiva europea finalizzata a conseguire una rappresentanza di genere più equilibrata nei consigli di amministrazione delle società quotate.
In Italia la legge Golfo-Mosca dal 2011 ha introdotto quote di genere, che stando ai dati disponibili hanno consentito di ridurre il divario di genere in molti settori. Si è inciso significativamente sulla composizione di organi di amministrazione e controllo di società quotate e partecipate, ma anche su quelle finanziarie, grazie anche all’attività di moral suasion esercitata dalle Autorità di vigilanza di settore.
Eppure appena ci si sposta dalle zone coperte dalla normativa sulle quote, la partecipazione femminile crolla nei Consigli di Amministrazione e nei Collegi sindacali. Si pensi, solo per fare un esempio, alla composizione tutta al maschile del Consiglio di Amministrazione di Italtel, la società di Maria Isabella (detta Marisa) Bellisario, top manager di successo internazionale, icona di modernità e modello di professionalità e affermazione in un settore a lungo riservato ai soli uomini.
Ciò consente di rispondere facilmente alla domanda se ancora serva imporre quote di genere in Italia.
La vera sfida, ne siamo consapevoli, consiste nel trasformare una spinta normativa in una reale cultura di inclusione, dove il contributo di ogni individuo, indipendentemente dal genere, sia apprezzato principalmente per le sue competenze e capacità. Dove il merito, da mero principio, diventi sostanza, regola e prassi verificabile a posteriori.
In attesa di un cambiamento culturale che trovi evidenza nei dati, tuttavia, varrebbe la pena concentrarsi sulle zone d’ombra e sulle aree di possibile estensione delle quote. Resta fondamentale proseguire con le politiche di sostegno e promozione dell’inclusione delle diversità e dei generi meno rappresentati, e investire nell’educazione a tutti i livelli, cercando di rimuovere i retaggi culturali, che ancora oggi condizionano fortemente le scelte in termini di formazione e di impegno dei più giovani. Ciascuno può dare il proprio contributi, a tutti i livelli – nelle Istituzioni e nelle Amministrazioni, nelle Università, nelle Corti, nelle Aziende, ma anche all’interno di ciascuna famiglia – perchè valori e principi si traducano in fatti.
* Professoressa di Diritto dell’Economia e dei Mercati Finanziari e Diritto Amministrativo, Università degli Studi di Roma Tor Vergata.
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Le donne nelle Governance delle pmi sono il 20% purtroppo
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