di Anna Maria Bernini*
Per l’Alta formazione l’Italia può vantare di un eccellente sistema, con tante luci ma anche delle ombre che è tempo di superare. Penso, ad esempio, alle penalizzanti involuzioni burocratiche che hanno influenzato in negativo il reclutamento dei docenti. Riformare un meccanismo di assunzione che per anni ha visto mortificare il talento in favore della burocrazia è stato uno degli obiettivi più urgenti alla guida del Ministero dell’Università e della Ricerca. Oggi possiamo dire con orgoglio che abbiamo fatto il primo passo decisivo verso un’università più giusta e meritocratica, anche sotto il profilo del reclutamento dei professori.
Il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri non è solo una riforma tecnica, è un cambio di passo nell’affermazione, anche in ambito universitario, del valore delle competenze.
L’università italiana soffriva di un male cronico: un sistema di abilitazioni nazionali che aveva creato un esercito di professori qualificati sulla carta ma condannati all’attesa, mentre le cattedre continuavano a essere assegnate secondo logiche locali che poco avevano a che fare con il merito. Ho voluto spezzare questo circolo vizioso eliminando il doppio concorso che costringeva i candidati a una corsa a ostacoli infinita e spesso umiliante. D’ora in poi si accederà direttamente ai concorsi banditi dagli atenei, con commissioni formate in maggioranza da membri esterni estratti a sorte.
Ma la vera rivoluzione sta nell’aver allargato lo sguardo oltre la mera produzione scientifica: finalmente si valuteranno anche le capacità didattiche, di fare rete con il territorio, l’impegno sociale. Perché essere professore universitario significa formare le nuove generazioni di professionisti, non solo accumulare pubblicazioni. So bene quanto sia difficile soprattutto – e dico anche “purtroppo” – per una donna affermarsi in ambito accademico, dove non sono cessati del tutto meccanismi di cooptazione al maschile e dove perfino la maternità viene ancora vista come un ostacolo alla carriera piuttosto che come un’esperienza che arricchisce la persona e il professionista.
Per questo ho voluto introdurre meccanismi che premiano la trasparenza e penalizzano il nepotismo: gli atenei che assumeranno male pagheranno in termini di finanziamenti, mentre chi saprà scegliere i migliori talenti sarà premiato. Ho pensato anche alla mobilità, quella possibilità di cambiare sede che per le donne è spesso complicata da vincoli familiari ma che rappresenta un’opportunità di crescita irrinunciabile. Con la portabilità dei punti organico, spostarsi da un ateneo all’altro diventerà più semplice e vantaggioso per tutti.
Non nascondo che il percorso parlamentare potrebbe presentarsi impegnativo e che molte resistenze dovranno essere superate. Ma sono determinata a portare avanti questa battaglia, che per me è una battaglia culturale. L’università deve tornare a essere il luogo dove le idee migliori vincono, indipendentemente dal genere, dall’età o dalle connessioni di chi le propone. È una sfida che riguarda il futuro del nostro Paese ma anche il presente di migliaia di ricercatrici e ricercatori che meritano di vedere riconosciuto il proprio valore.
Questa riforma è solo l’inizio di un percorso più ampio di modernizzazione del sistema universitario che ho in mente. Un percorso che mette al centro la qualità della ricerca e della didattica, ma anche il benessere di chi nell’università lavora e studia. Perché solo un ambiente accademico sano e stimolante può produrre quella conoscenza e quella innovazione di cui l’Italia ha disperatamente bisogno per competere nel mondo globale.
A tutte le giovani ricercatrici dico: non arrendetevi di fronte alle difficoltà, il cambiamento è possibile e sta già avvenendo. Alle colleghe che da anni combattono contro un sistema che le penalizza dico: la vostra battaglia non è stata vana, stiamo costruendo insieme un’università più giusta. E a tutte le donne che credono nel valore della conoscenza e della competenza ribadisco: questa riforma è anche per voi, perché quando il merito vince, vincono sempre anche le donne.
*Ministro dell’Università e della Ricerca
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