Fondazione Marisa Bellisario

IDEE CHE GENERANO IMPRESA, COMUNITÀ CHE COSTRUISCONO FUTURO

di Cristina Sivieri Tagliabue*

Entrare nella Basilica di San Pietro in Sassia, nel cuore di Roma, significa varcare una soglia che unisce secoli di storia e di umanità. Le mura altissime, i soffitti dorati, la luce che filtra tra gli archi romanici: tutto invita a guardare in alto, a respirare, a sentirsi parte di qualcosa di più grande.

Non è un caso che proprio qui si sia tenuta la 25ª edizione di “Donna, Economia e Potere” della Fondazione Marisa Bellisario: un luogo di senso e di unione al femminile, che ogni anno invita professioniste e protagoniste del cambiamento a guardare oltre, a confrontarsi con il pragmatismo di chi costruisce e con la visione di chi immagina.

Tra i numerosi tavoli tematici, sono stata chiamata per la prima volta a moderare quello dei venture capital, un mondo che conosco bene e che – forse più di altri – ha bisogno di “un’accellerazione” per favorire un maggiore ingresso femminile.

Il nostro spazio – due ore e mezzo di interventi con circa una quarantina di partecipanti – è stato denso di visioni e competenze, ed esperienze autorevoli hanno dialogato con la passione di chi crede davvero nel futuro. Invitati da Lella Golfo, insieme a me, i grandi player della scena italiana: Paolo Cellini, docente universitario con una lunga esperienza nel mondo startup, figure di vertice del private equity come Innocenzo Cipolletta, esperti di settore come Marco Nannini, Vicepresidente di Angels for Women, e Luigi Gallo, Responsabile Incentivi e Innovazione di Invitalia. È stato un privilegio potersi confrontare con chi ogni giorno seleziona e investe nelle eccellenze italiane, e credo di non essere stata l’unica persona ad essersi arricchita dalla loro visione.

La qualità degli interventi, la profondità delle analisi e la lucidità del confronto hanno restituito l’immagine di una rete viva, capace di interrogarsi senza retorica sul ruolo delle donne nell’innovation ecosystem.

Impossibile non citare Maria Silvia Pazzi, CEO & Founder di Regenesi, che ha proposto l’introduzione di una sorta di certificazione per i fondi che investono in startup femminili, accompagnata da una maggiore presenza di strumenti strutturali — anche in Cassa Depositi e Prestiti — e dalla creazione di più spazi di incontro e confronto per le giovani imprenditrici. Le sue parole — così come quelle di Laura Orestano, Presidente di SocialFare — hanno riportato il dibattito al cuore del tema: come costruire un ecosistema davvero inclusivo, dove le opportunità non dipendano dal genere ma dal merito, dall’idea, dalla capacità di innovare.

Siamo nel 2025: il mercato italiano delle startup resta ancora piccolo — un sesto di quello francese e un centoquarantesimo rispetto a quello statunitense — ma la consapevolezza cresce, e con essa la volontà di cambiare passo. I numeri, pur eloquenti, raccontano solo una parte della storia. Oggi in Italia le startup a prevalenza femminile rappresentano appena il 13,84 % delle imprese innovative, mentre quasi la metà include almeno una socia.

Eppure, quando riescono ad affermarsi, le imprese fondate da donne performano meglio della media in termini di return on investment e di scalability.

Il nodo resta sempre lo stesso: fundraising e access to capital. Secondo il Report on Gender Equality in the EU 2025, solo il 2 % dei fondi europei raggiunge startup con leadership interamente femminile. Un divario che non è soltanto economico, ma anche culturale: un caso emblematico di gender gap e di bias sistemico.

Nel corso del dibattito abbiamo esplorato le radici di questo squilibrio: dai unconscious bias nei processi di valutazione alla scarsa presenza femminile nei decision-making teams del venture capital, fino alla limitata partecipazione ai percorsi STEM.

Si è parlato di open innovation, di mentorship, di role models, e di come la fiducia possa trasformarsi in leva competitiva. E sotto le volte della Basilica — tra marmi, stucchi e voci che si rincorrevano — si percepiva una tensione autentica verso il cambiamento, una voglia condivisa di costruire un linguaggio nuovo per l’impresa e per la leadership.

Questa è, del resto, la forza della Fondazione Marisa Bellisario, che da venticinque anni accompagna il Paese in una riflessione continua sul talento e sulla responsabilità femminile. Un’istituzione che porta il segno inconfondibile di Lella Golfo, la cui energia instancabile ha trasformato la visione di Marisa Bellisario in un’eredità viva, concreta, inclusiva: una comunità di donne che si riconoscono nella competenza, nella partecipazione e nel coraggio di intraprendere.

In questo senso, l’accoglienza di San Pietro in Sassia non è stata soltanto un contesto suggestivo, ma una metafora perfetta. Così come la Basilica, nei secoli, ha saputo offrire rifugio e dignità a chi cercava una seconda possibilità, anche la Fondazione Bellisario continua a dare spazio, voce e ascolto a chi costruisce futuro.

Parteciparvi è stato come entrare in una grande casa comune, dove la parola potere si declina finalmente al femminile: come opportunità, ma anche come responsabilità. E questo spirito — limpido, ambizioso, corale — è emerso con forza durante il premio alle startup, il giorno successivo: donne straordinarie, con lo sguardo rivolto al futuro e la consapevolezza di poter sfidare il presente.

Perché l’innovazione, quando è inclusiva, smette di essere solo tecnologia e diventa cultura.

*Giornalista

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