di Laura Luigia Martini*
Secondo il filosofo tedesco Immanuel Kant, l’uomo è dotato di un’irrefrenabile inclinazione a sfidare l’ignoto, e ha sempre provato a spiegare quel noumeno, quella realtà inconoscibile e indescrivibile che si trova all’origine dei fenomeni, al di là dell’apparenza. Di recente, mi sono ritrovata a pensare che Kant avesse perfettamente ragione mentre rileggevo la notizia delle ricerche che hanno condotto alla scoperta di una nuova fonte di energia, di natura nucleare, ma ben più potente rispetto a quelle conosciute, un’energia poco nota, eppure estremamente rilevante: la fusione subnucleare. Se ne dà notizia per la prima volta pochi anni fa su Nature e poi in pochissime circostanze, quasi senza lasciare traccia. Per comprenderne i fondamenti, è necessario ripercorrere qualche concetto di fisica teorica, mutuando varie definizioni da diversi siti e da alcune pubblicazioni in lingua inglese. In fisica sono state individuate quattro interazioni o forze fondamentali, forze della natura che permettono di descrivere i fenomeni fisici in tutte le scale di distanza e di energia e che non sono quindi riconducibili ad altre forze. L’interazione gravitazionale, di gran lunga la più debole, determina la forza di gravità sulla Terra e l’attrazione fra i pianeti, fenomeni descritti con buona approssimazione dalla legge di gravitazione universale. L’interazione elettromagnetica è invece l’interazione tra oggetti dotati di carica elettrica ed è responsabile del campo elettromagnetico che ha natura ondulatoria e si propaga nello spazio alla velocità della luce. L’interazione nucleare debole governa le forze che intervengono nei decadimenti nucleari e ha un raggio d’azione finito comparabile alle scale delle lunghezze subatomiche. L’interazione nucleare forte, descritta dalla teoria della Cromodinamica Quantistica (QCD), è infine la forza più intensa fra quelle finora conosciute, dotata di una proprietà definita “carica di colore” che tiene uniti i quark, i costituenti elementari delle particelle subnucleari. Essi si presentano in sei diverse varietà, chiamate “sapori” (up, down, charm, strange, top e bottom) e si combinano fra loro per formare i cosiddetti adroni, a loro volta suddivisi in due macro-famiglie: i barioni, che sono i più pesanti perché costituiti da un numero dispari di quark (almeno 3), e i mesoni composti da un numero pari di quark e antiquark (solitamente una coppia).
Credereste ora che questi concetti possano influire sulla transizione energetica? Ebbene così è. Sappiamo che governi e istituzioni di tutto il mondo stanno lavorando per rendere sempre più efficienti le tecnologie associate alle energie rinnovabili, ma anche per portare alla fase di industrializzazione la fusione nucleare, ovvero la stessa reazione che avviene nel Sole e nelle altre stelle, per cui se consideriamo due elementi leggeri come deuterio e trizio, isotopi dell’idrogeno, a pressioni e temperature elevate, essi fondono formando nuclei più pesanti come l’elio, con emissione di enormi quantità di energia. L’energia da fusione produce peraltro pochissime scorie, è un’energia pulita i cui benefici supererebbero di gran lunga quelli di qualsiasi energia da fissione e avrebbe notevoli ricadute geopolitiche, favorendo la cooperazione tra Paesi oggi impossibile nella nostra stessa Europa, con la Francia capofila dello sfruttamento dell’energia da fonti nucleari, e la Germania apertamente schierata sul fronte delle rinnovabili. La fusione è implementata mediante due distinte metodologie: il confinamento magnetico e quello inerziale. La fusione a confinamento magnetico è un processo in cui le reazioni di fusione nucleare avvengono in un plasma di particelle cariche ad elevata temperatura confinate da un campo magnetico, e i reattori a fusione più diffusi che utilizzano tale tecnologia sono i tokamak. La fusione a confinamento inerziale è invece un processo in cui l’innesco delle reazioni di fusione nucleare (ignizione) avviene per riscaldamento e compressione di un combustibile, costituito spesso da una mistura di deuterio e trizio e l’energia necessaria in questo caso viene somministrata usando raggi di luce laser. Ambedue le metodologie sono applicate a livello sperimentale, con l’obiettivo appunto di un’industrializzazione sempre più vicina.
Ma come anticipato all’inizio di questo scritto, più di recente si è dimostrata l’esistenza di un ulteriore tipo di fusione, detta fusione subnucleare. Dall’analisi dei dati prodotti dalle campagne sperimentali del Large Hadron Collider (LHC) di Ginevra, Marek Karliner dell’Università di Tel Aviv e Jonathan Rosner dell’Università di Chicago hanno infatti scoperto qualcosa di molto interessante studiando le proprietà di una famiglia di nuove particelle che, al contrario di ciò che accade per protoni e neutroni, sono formate da due quark charm e da un quark up, dunque una tipologia di barioni. Da questi studi si è osservato che la fusione tra quark produce un eccesso di energia, ovvero un quantitativo di energia ben superiore a quella che è stata impiegata per indurla, quello che si definisce un processo efficiente. Calcolando la resa energetica qualora nel processo di fusione vengano coinvolti i quark bottom, che hanno una massa maggiore rispetto a quelli charm si è ottenuto un risultato eclatante, consistente in una disponibilità in eccesso di energia quasi 10 volte superiore a quella che si otterrebbe dalla fusione nucleare “classica” tra due nuclei di idrogeno!
La cosiddetta “quarksplosion”, così viene chiamata, genererebbe energia di un ordine di grandezza più grande rispetto alla fusione che avviene nelle stelle. Meraviglia o terrore? Già, perché questo incredibile risvolto tecnologico porta con sé un enorme potenziale per sviluppare sia l’energia necessaria per scopi civili, ma anche un’energia da fusione 10 volte più grande di quella impiegata per la costruzione delle attuali armi termonucleari, un entanglement che non può essere ignorato.
La natura per ora ha risolto il rebus, poiché si è con certezza rilevato che la durata della vita di questi quark è estremamente breve, dell’ordine dei millesimi di miliardesimo di secondo, dopodiché decadono in altre particelle. Non c’è quindi modo (né tempo) di utilizzare tecnologicamente questa scoperta per produrre energia a scopi pacifici né per costruire ordigni dagli effetti ancora più letali di quelli esistenti…ma una volta che si intravede un potenziale simile molte domande sorgono spontanee. Mario Pinheiro, per esempio, in un articolo di un paio di mesi fa, si chiede se processi teorici come l’effetto quantistico Zeno (“quando un sistema è osservato in maniera sufficientemente rapida e ripetitiva l’osservazione riduce la velocità di cambiamento del sistema”), in uno scenario futuristico, potrebbero stabilizzare questi quark abbastanza a lungo da sfruttare la loro energia. È una domanda a cui non sappiamo rispondere oggi, e non è certamente l’unica. Quello che sappiamo oggi è che la “quarksplosion” è probabilmente la più potente reazione fisica in natura, che a seconda dei quark coinvolti potrebbe liberare dalle 8 alle 10 volte l’energia della bomba H e che d’altro canto potrebbe risolverebbe i problemi energetici del mondo. Ma per ora non è sfruttabile. E tuttavia con essa si apre un territorio inesplorato e affascinante della fisica delle particelle.
Restano del tutto intatte la bellezza e l’importanza di una scoperta che contribuirà a sondare e a svelare sempre più in profondità i misteri dell’infinitamente piccolo, un mondo che non vediamo, ma che è ovunque intorno a noi e dentro di noi, un mondo che alimenta quel desiderio di sapere di cui parlava Kant o, per dirla con le parole che Dante mette in bocca a Ulisse nell’Inferno, “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.
*Nuclear Engineer, SDA Bocconi Senior Executive fellow
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