di Anna Rita Germani*
In occasione del seminario organizzato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Sapienza di Roma intitolato “Pari e Dis-pari tà di genere: progressi, questioni e sfide” che ha visto la collaborazione dell’Università di Tor Vergata, dell’Università Roma Tre e della Fondazione Marisa Bellisario, sono stati discussi aspetti importanti che, attraverso un approccio interdisciplinare, hanno generato stimolanti opportunità di riflessione e spunti di approfondimento. Partendo dal recente volume Invisibili (titolo originale, Invisible women) di Caroline Criado Perez pubblicato nel 2020 da Einaudi, si è molto discusso del gender data gap vale a dire del divario di genere nei dati. Questo concetto si riferisce alla mancanza di dati riguardanti il genere femminile e la scrittrice Criado Perez attraverso una serie di esempi dimostra che senza dati disaggregati per genere non è possibile realizzare politiche pubbliche più eque.
Il gender data gap può influenzare praticamente ogni ambito della realtà che ci circonda, dalla ricerca medica alla salute pubblica, dal design di smartphone all’abbigliamento da lavoro. Ad esempio, studi clinici che escludono o sottostimano le donne possono portare allo sviluppo di medicinali o terapie meno efficaci per loro o che presentano maggiori effetti collaterali rispetto a quanto rilevato per gli uomini. Applicare lo sguardo femminista ai dati (D’Ignazio e Klein, 2020) significa non solo i) disaggregare i dati in base al genere e con ottica intersezionale, ma anche ii) produrre dati liberi dagli stereotipi di genere. In Italia c’è una grave e diffusa carenza di dati di genere che va dal mercato del lavoro alla medicina, dalla disoccupazione femminile alla sicurezza, dal public procurement al benessere abitativo, dalla limitata partecipazione politica alla violenza di genere.
Un esempio di distorsione statistica è nella definizione di “attività economica” che per l’approccio tradizionale all’economia si concentra sui settori valorizzati/monetizzati, ma trascura il lavoro di cura non retribuito. Per comprendere la piena fornitura di beni e servizi in un Paese, è invece importante disporre di dati completi su tutti i tipi di lavoro, compreso il lavoro non retribuito che può essere quantificato con metodi specifici attraverso le indagini sull’uso del tempo. Altro esempio di come gli stereotipi possano portare a una ridotta percezione della realtà è la scelta di raccogliere e analizzare dati a livello familiare, piuttosto che a livello individuale (Corsi e Zacchia, 2021). L’utilizzo dell’unità di analisi “famiglia”, come nel tradizionale approccio alla povertà e all’esclusione sociale, è spesso giustificato dall’assunzione che all’interno della famiglia esista un’equa distribuzione delle risorse. È importante, invece, raccogliere dati sul reddito e sulle risorse disponibili a livello dei singoli individui piuttosto che a livello di nucleo familiare, per non oscurare le disuguaglianze di genere nell’uso delle risorse, compreso il tempo, all’interno dei nuclei domestici. Un altro esempio in cui il concetto di famiglia ha reso le donne invisibili nelle statistiche è la prassi di intervistare il “capofamiglia”, inteso come membro della famiglia ipotizzato come “più informato” per la raccolta dei dati relativi a tutto il nucleo familiare: spesso le caratteristiche dell’intera famiglia vengono identificate con quelle del soggetto intervistato, solitamente uomo, e si ottengono informazioni insufficienti per descrivere adeguatamente la molteplicità di relazioni esistenti tra i componenti della famiglia.
Il femminismo dei dati è qualcosa che rimane per lo più ignorato ed è quindi essenziale, quando si raccolgono e analizzano dati, avere come obiettivi principali non solo l’eliminazione degli stereotipi ma anche l’aumento della consapevolezza delle disuguaglianze attraverso la lettura dei dati.
È, pertanto, quanto mai urgente elaborare delle statistiche di genere quali strumenti indispensabili per garantire che la gestione delle risorse pubbliche sia efficace per il contrasto alle disuguaglianze di genere, soprattutto alla luce dell’utilizzo delle risorse relative al PNRR da qui al 2026. Ben vengano allora le importanti iniziative della società civile, come il progetto “Dati per contare” di Period think tank, che ha il principale obiettivo di richiedere e cercare dati di genere oltre che supportare le pubbliche amministrazioni nell’individuare politiche e misure orientate all’eliminazione delle tante disuguaglianze esistenti tra donne, uomini e persone di altri generi, anche al fine di monitorare e valutare l’attuazione del PNRR con riferimento, in particolare, ai progressi verso la piena equità di genere.
*Sapienza Università di Roma
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