Laura Luigia Martini*
Il Consiglio dell’Unione Europea in tema di politiche affronta diversi argomenti di grande attualità, tra i quali l’importanza dell’industria dell’UE, la strategia industriale per l’Europa e il piano industriale del Green Deal. Contestualmente afferma che: “la politica industriale dell’UE mira a rafforzare la competitività dell’industria dell’Unione e a promuovere un’economia più sostenibile, resiliente e digitalizzata che crei posti di lavoro”.
Non è mia intenzione in questo scritto concentrarmi su temi legati in particolare all’Unione Europea, che saranno declinati secondo le migliori scelte strategiche per la specifica area geografica, ma i concetti che tenterò di spiegare sono già tutti in questa frase, verranno contestualizzati in un ambito globale e come tali interpretati.
Secondo il WEF (World Economic Forum), l’Organizzazione Internazionale per la Cooperazione Pubblico-Privata, la competitività va intesa come “l’insieme di fattori, politiche e istituzioni che determinano il livello di produttività di un Paese e che determinano quindi il livello di prosperità che può essere raggiunto da un’economia”. E gli ultimi anni sono stati caratterizzati dal diffondersi di quei fenomeni di globalizzazione e di internazionalizzazione dei mercati che hanno sollecitato grande interesse per la competitività e la relativa quantificazione. Il concetto non è nuovo nel dibattito economico – basti pensare al modello delle cinque forze di Porter – ma, come evidenziato in un documento dell’Università degli Studi di Teramo, l’ottica con cui si guarda alla competitività oggi è cambiata, spostandosi dall’analisi delle imprese e dei loro mercati di riferimento a quella dei territori che possono potenzialmente ospitarli. Secondo alcune scuole di pensiero è altresì possibile analizzare il fenomeno in maniera bivalente: l’approccio microeconomico, che fa riferimento alla cosiddetta competitività territoriale come aggregazione della capacità competitiva delle imprese localizzate in uno specifico territorio, e quello macroeconomico secondo il quale la competitività tra diversi territori si concretizza nella capacità degli stessi di attrarre attività imprenditoriali e fattori di produzione.
Con “politica industriale” intendiamo invece l’ampio perimetro di interventi governativi finalizzato a orientare e controllare la trasformazione strutturale dell’economia di un Paese. Lo scopo principale è quello di rendere l’industria più competitiva al fine di mantenerne il ruolo di elemento motore per la crescita sostenibile e l’occupazione. Per via della complessità intrinseca che la caratterizza e dell’incertezza dei possibili benefici prodotti, la politica industriale non è sempre stata perseguita con sistematicità, contrariamente a quanto accade oggi, allorquando eventi come la pandemia, l’acuirsi delle tensioni geopolitiche e la crisi climatica, hanno sollevato preoccupazioni sulla resilienza delle supply chain, sulla sicurezza economica nonché sulla capacità dei mercati di allocare le risorse in modo efficiente (International Monetary Fund, April 12ve, 2024).
Perché è dunque molto importante monitorare l’evoluzione delle politiche industriali e comprenderne le dinamiche sottese nell’ottica del miglioramento della competitività?
Un esempio per tutti. Lo scorso maggio a Vienna l’Organizzazione per lo Sviluppo Industriale delle Nazioni Unite (UNIDO) pubblicava l’Industrial Development Report (IDR) 2024, un documento che mette in relazione la competitività industriale con lo sviluppo sostenibile. Il rapporto afferma che le iniziative di politica industriale dovrebbero concentrarsi su industrie che hanno il potenziale per accelerare il raggiungimento degli SDG, i Sustainable Development Goals, obiettivo in funzione del quale vengono individuati quattro principali filoni tematici di sviluppo delle politiche industriali moderne: la transizione energetica, la 4IR, ovvero la quarta rivoluzione industriale, il riequilibrio globale e la transizione demografica. Il tutto coadiuvato dalla capacità di attrarre investimenti esteri diretti (FDI, Foreign Direct Investment) che si stanno rilocalizzando. In particolare, secondo l’IDR 2024, paesi e imprese in grado di padroneggiare le capacità tecnologiche e produttive delle industrie legate alla transizione energetica beneficeranno di una nuova forma green di vantaggio competitivo e nel processo saranno coinvolti i settori legati all’energia ma anche all’industria, in particolare quella “energy and material-intensive”, tra cui l’acciaio, i prodotti chimici e il cemento.
Ma per restare competitivi, i Paesi e le imprese dovranno subire drammatiche ristrutturazioni, attuare cambiamenti sia a monte che a valle lungo le diverse catene del valore, e affinché le moderne politiche industriali siano efficaci, sarà necessario un livello completamente nuovo di cooperazione e solidarietà internazionale, fatto non solo di trasferimento di conoscenze, competenze e tecnologie, ma anche di finanziamenti sostenibili più consistenti, per soddisfare le esigenze di tutti i Paesi, per garantire equità, smussare le disuguaglianze, provvedere ad un’adeguata formazione professionale dei giovani. Serve in sostanza un nuovo codice etico globale di responsabilità, un giusto equilibrio di interessi tra paesi industrializzati, paesi in via di sviluppo ed economie emergenti.
Diversi sono gli strumenti a nostra disposizione. Oltre al già citato WEF, il Partenariato globale si pone l’obiettivo di garantire l’efficacia della cooperazione e la promozione degli scambi (GPEDC, Global Partnership for Effective Development Cooperation), riunendo governi, organizzazioni bilaterali, società civile e settore privato e cercando di spostare l’attenzione oltre la mera erogazione di fondi e di migliorare la cooperazione internazionale allo sviluppo. E così pure l’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico è uno degli enti maggiormente coinvolti nello studio della politica industriale e della competitività, per migliorare il benessere economico e sociale in tutto il mondo.
E una volta tracciata la rotta, aperto il dialogo tra i vari leader globali, coinvolti enti e organizzazioni preposte, una volta compresa l’importanza delle politiche industriali finalizzate al rafforzamento della competitività e il raggio d’azione più appropriato, il mondo dovrà agire subito e agire in maniera coesa, per il bene comune e per un futuro condiviso, nella consapevolezza che solo uniti è possibile progredire e creare quel benessere vero e duraturo di cui l’umanità tutta ha bisogno.
*Nuclear Engineer, SDA Bocconi fellow
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