Fondazione Marisa Bellisario

COME LE MISURE FISCALI POSSONO INCIDERE SULLA PARITÀ DI GENERE: UNA RIFLESSIONE NECESSARIA

di Loredana Conidi* e Marlinda Gianfrate**

Il 24 febbraio 2025 il Consiglio di vigilanza dell’INPS ha presentato il Rendiconto di genere 2024 che riporta dati indicativi della presenza delle donne nel mercato del lavoro, dei livelli retributivi e pensionistici distinti in base al genere, nonché della violenza di genere in Italia e rende evidenti le persistenti condizioni di svantaggio del genere femminile con riferimento ai tassi di occupazione, all’instabilità occupazionale, al divario retributivo, al carico del lavoro di cura e alle prestazioni pensionistiche. (https://www.inps.it/it/it/inps-comunica/notizie/dettaglio-news-page.news.2025.02.rendiconto-di-genere-2024-i-dati.html)

Le differenze significative e le discriminazioni di genere che si verificano sono determinate da numerosi fattori che riguardano il mercato del lavoro e i modelli organizzativi, la rete dei servizi, l’ambito familiare e culturale. Le analisi delle cause di solito non tengono in adeguata considerazione l’importanza della fiscalità in quanto, come peraltro evidenziato da numerosi studi economici, politiche e norme fiscali possono diventare un ostacolo al raggiungimento dell’uguaglianza di genere e al contrario, talune misure fiscali possono considerevolmente contribuire a promuovere la parità tra uomo e donna.

Si segnala in tale contesto la recente iniziativa del Parlamento europeo, la cui sottocommissione per le questioni fiscali della commissione per i problemi economici e monetari ha organizzato nello scorso mese di gennaio una audizione pubblica dal titolo “Impact of taxation on gender equality in the European Union. Tale occasione attesta l’impegno apprezzabile del Parlamento europeo di mettere al centro del dibattito fiscale il tema del rapporto tra le politiche fiscali e la parità di genere.

Diversi Stati membri, infatti, applicano politiche fiscali che, pur essendo neutrali dal punto di vista formale, possono recare svantaggio indiretto a un genere rispetto all’altro. Ciò accade, ad esempio, nella tassazione delle persone fisiche, dove le differenze nelle imposte sul reddito o i sistemi basati sul reddito familiare possono scoraggiare il lavoro femminile. Lo stesso vale per la tassazione delle società, che può generare anch’essa discriminazioni di genere. In quest’ultimo ambito, in molti Stati membri, poiché le donne sono coinvolte in maniera differente rispetto agli uomini nelle imprese in termini tanto di azionariato e rappresentanza nei Consigli di amministrazione quanto nella gestione diretta di imprese, ne deriva che le politiche fiscali in essere vanno con maggiore probabilità a beneficio degli uomini.

Da non sottovalutare inoltre gli effetti negativi nel settore delle imposte indirette (a titolo esemplificativo si segnala il diffuso mancato riconoscimento di aliquote IVA ridotte per beni destinati all’igiene femminile).

Anche il nostro Paese non è esente dall’aver introdotto norme fiscali che possano comportare discriminazioni di genere: è il caso dei diversi regimi di flat tax basati sull’applicazione di un’aliquota percentuale fissa sul reddito, che amplificano i divari salariali e di alcuni tagli alle detrazioni fiscali introdotti dalla Legge di Bilancio 2025, che ad esempio restringono il perimetro dei familiari di un lavoratore dipendente che possono fruire di servizi di welfare privato.

Per valutare correttamente l’impatto delle politiche e dei programmi pubblici sulle disuguaglianze di genere, è necessario considerare anche gli effetti delle norme fiscali sulle disuguaglianze di genere. Ciò significa agire in una duplice direzione: da un lato, con riferimento alle nuove iniziative legislative, prevedendo in sede di formulazione delle norme il vincolo di valutazione dell’impatto di genere, cioè la verifica degli effetti delle norme sulle disuguaglianze di genere, in modo tale che non si introducano nuove imposte, detrazioni o incentivi fiscali che incidano in particolare sulle differenze – già esistenti – dei livelli retributivi o nella partecipazione alla forza lavoro, aggravando il divario di genere.

Dall’altro, continuare a promuovere azioni positive, che si aggiungano ad alcune agevolazioni fiscali e contributive già in essere, quali ad esempio gli esoneri contributivi per le imprese che abbiano conseguito la certificazione della parità di genere o per i datori di lavoro privati che assumano donne vittime di violenza disoccupate e beneficiarie del c.d. “Reddito di libertà”.

*Equity Partner, Gatti Pavesi Bianchi Ludovici

**Of Counsel, Gatti Pavesi Bianchi Ludovici

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