di Mariastella Gelmini*
La presentazione in Senato, la scorsa settimana, del libro “Le ipocrisie sul clima” di Roger Abravanel e Luca D’Agnese, alla presenza di Alfredo Altavilla, Special advisor BYD, e di Renato Mazzoncini, amministratore delegato A2A, è stata l’occasione per riflettere su un tema complesso come quello del cambiamento climatico.
Assistiamo purtroppo a un dibattito molto polarizzato. Siamo di fronte a uno scontro tra gli estremisti, ovvero gli ecofanatici alla Greta Thunberg, e i “neonegazionisti”, quelli che a differenza dei negazionisti “duri e puri” almeno riconoscono il problema, ma pensano che trovare una soluzione spetti alle generazioni future. Si tratta, in entrambi i casi, di posizioni inconcludenti, che fanno male al Paese e che non ci portano da nessuna parte.
Esiste piuttosto una terza via: la via della moderazione, della riflessione sulle complessità delle questioni, la via del pragmatismo, delle buone pratiche, della gradualità, del senso di responsabilità individuale e collettiva.
In tal senso, dobbiamo fare nostro il modello di “triangolo della sostenibilità”, un nuovo modello che vede la politica interagire con la società civile e con le imprese.
Sappiamo che il cambiamento climatico è una sfida globale, ma l’Italia deve dare il suo contributo. Serve quindi un’assunzione di responsabilità da parte di tutti per innescare una sinergia che possa essere un valore aggiunto per il futuro del Paese.
In Europa serve un cambio di passo. Lo affermo da europeista convinta. Perché il Green Deal è da riscrivere. La rivoluzione green non deve portare alla perdita di posti di lavoro e alla distruzione di filiere produttive come quella dell’automotive, un’eccellenza del Made in Italy.
La transizione ecologica deve avere al centro non solo l’ambiente, ma anche l’uomo: le attività produttive, l’economia, le aziende.
E puntando lo sguardo oltre i nostri confini, il primato della Cina deve farci riflettere.
Perché mentre in Occidente giochiamo a fare i negazionisti, la Cina, pure mediante una concorrenza spesso sleale, corre veloce con investimenti di peso sull’elettrico, sulle gigafactory, sulle batterie.
Di fronte a tutto questo non possiamo restare fermi. Preservare lo status quo non è quello che ci serve in questo momento. La spinta verso l’innovazione della Cina non deve intimorirci, ma spronarci a investire ancora di più sulle start-up, sulle eccellenze, sul fare impresa, sul capitale umano e sul coraggio di innovare.
Bisogna agire, al tempo stesso, anche sull’energia: le rinnovabili sono il presente, convengono economicamente e sono a portata di mano, ma bisogna diversificare le fonti energetiche e investire anche sullo sviluppo di alternative come l’idrogeno e il nucleare.
E se vogliamo puntare alla competitività e all’innovazione, così come auspicato dal Rapporto Draghi, serve sburocratizzare e semplificare la vita di imprese e cittadini.
Insomma, c’è un grosso lavoro da fare, ma non possiamo arrenderci al cambiamento climatico.
L’Europa può farcela. L’Italia deve farcela.
Ripartiamo dalle buone pratiche (che in Italia fortunatamente ci sono) e da un sano riformismo: basta scontri e contrapposizioni, basta ideologia.
Diciamo sì al pragmatismo per affrontare la complessità dei problemi e mettere in campo ricette concrete.
* Capo delegazione Noi Moderati al Senato
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