di Paola La Salvia*
Nel corso del XXI secolo la guerra ha fatto un sorprendente e pericoloso ritorno al centro del dibattito politico e sociale, ormai essa appare non più intesa come l’abominio da evitare a ogni costo, bensì come il legittimo strumento di affermazione dei propri interessi e di risoluzione dei conflitti.
La pace — un tempo obiettivo politico e morale imprescindibile — sembra progressivamente scomparsa dall’agenda dei Governi e dei media, che parlano sempre più di ammodernamento degli arsenali, di riarmo e di strategie militari, e sempre meno di diplomazia, dialogo e cooperazione internazionale.
Prendiamo per esempio l’aggressione russa all’Ucraina: dal 2014 in Crimea fino all’invasione su vasta scala del febbraio 2022, abbiamo assistito a una cinica dimostrazione di potenza, con il territorio e la dignità di un popolo calpestati nel nome di interessi strategico-geopolitici.
Allo stesso modo, l’orrendo attacco terroristico di Hamas ai danni di civili israeliani e il conseguente rapimento di decine di ostaggi — alcuni dei quali rilasciati, altri purtroppo deceduti, e molti ancora detenuti in condizioni ignote — hanno scatenato una spirale incontrollabile di violenza. Le operazioni militari di rappresaglia condotte da Israele nella Striscia di Gaza, con il loro carico di bombe anche su quartieri residenziali, hanno generato una crisi umanitaria di proporzioni devastanti, con numerosi morti e costringendo centinaia di migliaia di civili a fuggire in condizioni disperate.
La guerra, purtroppo, è diventata una realtà quotidiana per milioni di persone in tutto il mondo: attualmente si contano oltre cinquanta conflitti armati attivi, che segnano la vita di combattenti e civili con lutti, distruzioni e orrori senza fine.
In questo contesto la retorica bellicista trova terreno fertile, perché offre l’illusione di soluzioni rapide e decisive. Eppure a pagare il prezzo sono le persone più vulnerabili della popolazione: donne violate nella loro dignità, martoriate da abusi e violenze, bambini derubati dell’infanzia e dell’innocenza, anziani lasciati all’abbandono e tutte quelle anime silenziate dal frastuono assordante delle armi.
La storia ci insegna che la “vittoria” ottenuta attraverso le armi lascia dietro di sé solo macerie materiali e morali, seminando risentimento, vendette e nuovi cicli di violenza. Eppure, la pace — concepita non come semplice assenza di guerra, ma come equa convivenza basata sul rispetto reciproco e sull’aiuto solidale — sembra essere oggi un’idea relegata a un nostalgico passato.
In questo senso risuona con straordinaria forza il monito di Bertold Brecht, uno dei più grandi pensatori dell’ultimo secolo, che ci ricorda quanto la vera grandezza di un popolo risieda proprio nella sua capacità di vivere senza eroi armati, ma con cittadini consapevoli e responsabili: “Beati quei popoli che non hanno bisogno di eroi.”
Una frase che è un invito ad una riflessione: un popolo che non ha bisogno di eroi è un popolo in grado di affrontare le sfide attraverso il dialogo, la giustizia sociale e la cooperazione. In esso, non ci sono leader che credono di essere invincibili e che trascinano le masse al combattimento, ma comunità solide che risolvono le divergenze con la parola e la mediazione.
Se davvero vogliamo riscattare l’idea di pace nel XXI secolo dobbiamo coltivare una autentica “cultura di pace” ossia lavorare tutti insieme — istituzioni, cittadini, organizzazioni internazionali — per costruire società nelle quali la retorica della guerra non sia più allettante, e in cui la sicurezza e la dignità di ciascuno non dipendano dalla forza delle armi, ma dalla forza dei legami umani.
Oggi più che mai serve il coraggio di restare umani, di opporsi all’orrore della guerra con la forza della solidarietà e della responsabilità individuale.
È questa – e solo questa – la vera forma di eroismo: non quella che leva i fucili, ma quella che innalza le coscienze.
*Tenente Colonnello della Guardia di Finanza
È un richiamo potente alla coscienza collettiva
Grande Colonnello!! Parole sante