di Ornella del Guasto*
Oltre il Medio Oriente e l’Ucraina si sta prospettando sommessamente un’altra area di crisi nel duello cino-americano che Washington sperava di risolvere attraverso l’ambigua relazione con Russia: l’Artico. Di recente si è svolta una missione di sottomarini cinesi nell’area con l’obiettivo dichiarato da Pechino di semplice ricerca scientifica dedicata all’esplorazione e produzione di risorse minerarie. È però un fatto che più rotte si aprono e più Pechino si proietta nella zona polare, forte proprio dell’utile e amicale rapporto con la Russia. Il problema però è che la regione artica è anche strategicamente cruciale per la sicurezza degli USA e dell’UE che si sono subito allertati per 3 motivi: le loro basi militari sul posto che garantiscono protezione dagli attacchi nucleari, le enormi risorse naturali non sfruttate, l’accesso alle rotte di navigazione che si aprono nell’Artico con il cambiamento climatico. Infatti è proprio lo scioglimento dei ghiacci che sta facendo risparmiare molto tempo alle navi commerciali cinesi per arrivare da Shanghai al porto cruciale di Rotterdam nei Paesi Bassi dove vengono smistati i commerci e quindi questa crescente presenza sta facendo aumentare le tensioni strategiche con gli USA e gli Europei anche perché l’Artico è un’area in cui al momento la Russia resta la principale forza navale. Però nel corso degli ultimi anni, dato gli imprevedibili vicini, il mar Baltico è anche diventato una sorta di “mare della Nato” dopo l’ingresso della Finlandia e della Svezia nell’Alleanza Atlantica, che vuole aumentare il proprio coinvolgimento sul versante artico. Questo quindi spiega l’improvviso interesse primario mondiale verso la Groenlandia diventata regione strategicamente cruciale per la sicurezza degli USA e per quella dei Paesi Occidentali anche perché autonomamente nel 2018 la Cina promulgò una “strategia ufficiale per l’Artico”, autodefinendosi “stato semi-artico”, nonostante tra Pechino e il Polo Nord intercorra una distanza di alcune migliaia di chilometri per cui una maggiore presenza cinese potrebbe inevitabilmente portare a un aumento delle tensioni strategiche.
Nel quadro così turbolento Trump è ovviamente entrato a gamba tesa dichiarando esplicitamente di volersi impossessare della Groenlandia, la sconfinata distesa di ghiaccio abitata da poco più di 500 mila abitanti che appartiene ufficialmente al regno di Danimarca, ma decide in modo indipendente sulla maggior parte delle sue questioni politiche perché solo gli Affari Esteri e la Difesa sono gestiti dal governo di Copenaghen. Perché Trump la vuole? Per potersi impadronire delle sue risorse minerarie che metteranno gli USA in grado di sfidare Pechino nella corsa tecnologica affrancandosi dalle sue forniture. Infatti la distribuzione globale delle ricercatissime terre rare è attualmente in forte situazione di squilibrio dato che la Cina non solo ne possiede vasti giacimenti ma produce già il 70% circa e raffina oltre l’’85% del totale mondiale di queste risorse, aiutata da un mix di vantaggi competitivi oltre l’abbondanza: manodopera a basso costo e normative ambientali meno restrittive rispetto ai Paesi occidentali. Nella regione di Kvanefjeld nel meridione dell’isola nordica si trova il secondo deposito al mondo di ossidi di terre rare, un giacimento fondamentale per Washington dato che i ricercatori americani hanno previsto che entro il 2050 la domanda di metalli e minerali indispensabili per la transizione energetica e digitale aumenterà del 500%. Nel sottosuolo della Groenlandia è nascosto un autentico tesoro composto di terre rare, scandio, ittrio e dei 15 lantanoidi cruciali per realizzare batterie dei veicoli elettrici, chip per l’intelligenza artificiale, pannelli solari, sistemi di difesa, reti per le telecomunicazioni …insomma possiede tutte le risorse minerarie considerate le più preziose del XXI secolo, diventate leva strategica nelle relazioni internazionali. Perciò, secondo il suo stile, Trump ha ammonito che “per garantire la sicurezza agli USA” è pronto a prendersi la Groenlandia “se necessario anche con l’uso della forza militare” guadagnandosi immediata la secca risposta del neo premier Jens –Frederik Nielsen: “la Groenlandia è nostra, così è stato ieri, così è oggi e così sarà in futuro”. Immediate le reazioni alle pretese americane anche da parte della popolazione: un’ondata di nazionalismo è dilagata nell’isola artica anche se il Governo, per addolcire la pillola, si è detto disponibile a rispettare il bisogno degli USA di avere una maggiore presenza militare nella regione e che quindi, Danimarca e Groenlandia,sono pronte a discuterne”. Il riferimento è a un accordo di Difesa siglato nel 1951 con Washington che “offriva agli Stati Uniti ampie opportunità di una presenza militare nel Paese” fino a oggi trascurato e quasi dimenticato tanto che sul territorio è presente solo una forza di 200 militari americani.
Secondo gli ultimi (pochi) sondaggi, l’85% dei groenlandesi è contrario a ogni ipotesi di annessione agli Stati Uniti e anzi il 90% è favorevole all’indipendenza, che in base ad un accordo del 2009 con la Danimarca potrà realizzarsi dopo un referendum. La sfida indipendentista adesso è però complicata sia dalle mire di Trump sia dal costo di un welfare integralmente sostenuto dalla Danimarca, che mantiene sì il controllo della Politica Estera e della Difesa, ma fornisce alla Groenlandia anche sussidi per 554 milioni di euro l’anno. Un dilemma per il popolo e il governo Inuit, chiamato a giocare una partita geopolitica intricata, che si inserisce nel Grande gioco artico fra le superpotenze — Usa, Russia, Cina — per accaparrarsi terre rare indispensabili all’economia hi-tech, nuove rotte marittime e un prezioso avamposto strategico-militare fra i ghiacci. Per questo è opportuno anche per l’Unione europea di entrare nella partita.
Inoltre alcuni osservatori sono pessimisti sul “sequel della storia” e non si fidano delle successive mosse di Trump che, aiutato da Mosca, dopo la Groenlandia possa essere tentato di usarla come trampolino di lancio per attaccare anche l’indipendenza della Danimarca, dato che fino a oggi sono arrivate più minacce che proposte di dialogo. Non a caso, viste le crescenti tensioni, sono in allerta tutti i paesi Baltici al confine con la Russia (che Trump ha già messo nel mirino minacciando pubblicamente la lettone Kaja Kallas alto rappresentante per la politica estera dell’UE che nel corso di un’intervista aveva detto che “la colpa della guerra è dei russi. Non di Zelensky, non di Biden”).
Intanto la Norvegia dopo la vicenda Ucraina e la ripresa delle esercitazioni militari russe nell’Artico, fiutata l’aria che tira, ha deciso di premunirsi e sta riattivando addirittura alcune delle sue strutture sotterranee più importanti, bunker militari scavati nelle montagne che al tempo della Guerra Fredda erano basi segrete dove nascondere navi e aerei. Ma anche la Finlandia se la vede brutta dopo che recenti immagini satellitari, confermate dal New York Times e dalla Nato, hanno mostrato che le forze russe stanno potenziando e costruendo infrastrutture militari vicino al confine finlandese, un’attività che potrebbe rivelare la strategia di Mosca per il dopo-Ucraina. Le immagini mostrano numerose file di tende da campo, nuove strutture capaci di ospitare veicoli militari, oltre a lavori di ristrutturazione di hangar per aerei da caccia e una costante attività di costruzione in una base per elicotteri che in precedenza era inutilizzata, attività che sembrano rappresentare le fasi iniziali di una espansione più estesa e di lungo periodo. Anche perché, sottolinea il NYT, la Finlandia è uno dei nuovi membri della Nato e ha una frontiera di 1.335 km che è attualmente la più lunga linea di contatto della Nato con la Russia e quindi la linea di confine tra Finlandia e Russia secondo gli esperti militari potrebbe diventare presto un punto caldo, considerato anche il fatto che gran parte di essa si trova nel circolo polare artico sempre più contestato. Per questo è stata pronta la risposta della Norvegia: “la Nato sta per aprire una base militare temporanea aerea nell’aeroporto militare a Bod, nel nord-ovest norvegese che ospiterà centinaia di militari per diversi anni – ha ammonito il ministro della Difesa Tore Sandvik. L’ubicazione a Bod fa parte di un piano ambizioso che permetterà alla base, quando diventerà pienamente operativa, di garantire una difesa eccellente perché una Nato forte nel Polo Nord è importante per la sicurezza della Norvegia e dell’intera regione nordica “. Si sta quindi accendendo un nuovo Grande Gioco, questa volta non nelle consuete zone calde dell’Asia centrale e nemmeno in Ucraina, Gaza o nel Mar Cinese meridionale, ma piuttosto nelle gelide acque dell’Artico. E il predominio in questa regione sarà cruciale per il controllo strategico dell’intero emisfero occidentale.
*Political and socio-economic analyst