Fondazione Marisa Bellisario

A CHE PUNTO SIAMO CON LA D&I?

di Susanna Zucchelli*

Negli Stati Uniti sono tempi duri per le politiche di Diversità, Equità ed Inclusione. Fra l’altro proprio Ieri Trump, nel suo discorso di insediamento a Presidente degli Stati Uniti, ha dichiarato che esistono solo 2 generi: il maschile e il femminile. Meta ‘fiuta’ l’aria che tira e cancella i suoi programmi DEI, aggiungendo il proprio nome di colosso della Silicon Valley alla lista delle grandi aziende USA – Ford, Walmart, McDonalds, John Deere, Harley Davison etc – che hanno fatto retromarcia sulle riforme ispirate alla DEI, denunciate come ‘eccessi progressisti, dogmatici e dannosi’ dai trumpiani. È un’ondata di scetticismo, disillusione e tagli netti. Perché sta succedendo?

Guardando bene è’ da un pò di tempo che negli Stati Uniti molte aziende stanno rivedendo o eliminando i programmi DEI. Un esempio su tutti è Hollywood. Dopo le promesse fatte nel 2020 all’apice dei movimenti Black Lives Matter, l’industria dell’intrattenimento aveva dichiarato guerra al razzismo sistemico. Molte di quelle promesse, inizialmente cariche di aspettative, si sono rivelate nel tempo iniziative di facciata, incapaci di tradursi in un cambiamento reale e duraturo. Molti programmi DEI sono stati lanciati in fretta, spesso senza una strategia chiara e, soprattutto, senza misurare l’impatto delle azioni sulle realtà aziendali. (fonte Shata Diallo)

Da qui la profonda disillusione. Molte società hanno scoperto che le loro politiche DEI non stavano funzionando, ciò che avrebbe dovuto essere un cambiamento profondo si è trasformato in una lista di azioni simboliche, non di impegno reale verso un futuro diverso. E quando il cambiamento non arriva è facile che l’entusiasmo si spenga e che le critiche guadagnino terreno.

Anche la politica ha fatto la sua parte. La sentenza della Corte Suprema del 2023 (ogni misura che cerca di favorire l’equità viene considerata come un possibile squilibrio ai danni della maggioranza) ha dichiarato incostituzionale l’affirmative action nelle università, e ha dato quindi un segnale chiaro: l’equità non è più al centro dell’agenda. Questa decisione ha alimentato una narrativa critica verso la DEI, rafforzando la percezione che non sia un motore di inclusione, ma una forma di favoritismo mascherato.

Quindi cosa fare? Le aziende e le istituzioni in genere devono trovare modi per dimostrare che queste iniziative non sono un rischio per la maggioranza, ma un beneficio collettivo per l’intero sistema; è necessario riuscire a contrastare con la concretezza dei risultati che le politiche di inclusione creano valore: sono un investimento e non un costo.

Questo probabilmente in Italia è più semplice, fra noi e gli Stati Uniti ci sono differenze importanti che riducono il rischio di un effetto domino immediato. Dal punto di vista legislativo l’Unione Europea favorisce politiche di inclusione e diversità, spesso attraverso regolamenti obbligatori. Questo rende più difficile per le aziende italiane, abbandonare questo percorso. La normativa europea è un freno contro l’inversione di tendenza americana, da notare che anche la Cina si sta comportando come l’Europa, proseguendo con le politiche DEI  peraltro di recente introduzione.

Da punto di vista dei contenuti, rispetto agli Stati Uniti, l’approccio italiano si concentra maggiormente su questioni di genere, di età, di disabilità, lasciando ancora in secondo piano aspetti come la diversità etnico-culturale. le politiche DEI sono comunque percepite meno centrali e molte aziende sono ancora in una fase iniziale di implementazione. Il nostro approccio sembra essere comunque attualmente più ‘pacato’ di quello americano, nel senso di meno ideologico e piu centrato sull’efficacia e la misurabilità delle azioni intraprese, senza perdere di vista l’equilibro complessivo.

Vi lascio con un post davvero molto interessante di Cathy la Torre, avvocata, specialista in diritto antidiscriminatorio che trascrivo sotto:

Meta cancella i programmi di DEI e la notizia diventa subito: finalmente hanno detto basta al politicamente corretto.

Era ora!

In effetti era ora che chiudessero programmi di DEI che vedevano selezionare e dunque assumere personale in quanto appartenenti a una minoranza o perché con uno specifico background.
Se qualcuno mi assumesse perché sono lesbica o non binary, o socializzata donna o quel che vi pare, solo perché deve raggiungere una quota di eterogeneità, come se l’ eterogeneità nella composizione delle persone che lavorano per te la si potesse raggiungere col bilancio, i numeri, i KPI credo che mi sentirei usata.
Usata in un sistema che ha di fatto parcellizzato le minoranze, usato la DEI come fattore di marketing, trasformato quel che dovrebbe essere fisiologico – e cioè che le persone non posso essere discriminate per una loro caratteristica personale – in qualcosa che ha di fatto alimentato la contrapposizione fra maggioranze e minoranze.

In ogni mio corso io insegno non il valore dell’inclusione (la parola inclusione viene dal latino includére cioè mettere in gabbia), né il valore della diversità (avete mai visto qualcuno uguale a qualcun altro?) quindi che lapalissiana osservazione quella che siamo tutti e tutte diversi!

No, insegno il valore dell’equità cioè del non far sentire nessuna persona vittima di una mancanza di opportunità, di una diseguaglianza, di una differenza di trattamento.

E chiunque potrebbe essere vittima di una politica iniqua: anche un uomo, bianco, eterosessuale o una donna single senza figli. Non solo chi appartiene a una minoranza nella propria vita conosce la diseguaglianza. Può accadere a chiunque di anelare maggiore equità, specie sul posto di lavoro.
Quindi, ricapitolando.

Se Meta e gli altri vogliono abbandonare la dei come la facevano (assumere tot persone ispaniche, tot persone nere, tot donne), sapete che vi dico. Meglio così. Perché questo è il contrario dell’equità.

https://www.linkedin.com/posts/cathy-la-torre_meta-cancella-i-programmi-di-dei-e-la-notizia-activity-7284178496900255744-xYj2?utm_source=share&utm_medium=member_android

*Consigliere indipendente

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