di Silvia Grandi*
Negli ultimi anni, lo sviluppo sostenibile è diventato un concetto centrale nel lessico delle imprese e nel management, soprattutto dopo l’adozione dell’Agenda 2030 e dei suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs). Era il settembre del 2015 quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò una delle risoluzioni più ambiziose e influenti del nostro tempo: Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development, forse utopiche ma che ha aperto anche alla finanza sostenibile ed ai framework ESG.
Fu un momento storico che conquistò anche le prime pagine dei quotidiani italiani, complice la partecipazione di Papa Francesco, che pochi mesi prima aveva pubblicato l’enciclica Laudato si’. Un testo che contribuì a diffondere l’idea di “ecologia integrale”, sottolineando l’interconnessione tra ambiente, economia e società, e introducendo una visione olistica del concetto di “spreco”.
La sostenibilità, secondo l’approccio delle Nazioni Unite, è un paradigma complesso, che impone di bilanciare crescita e responsabilità lungo cinque direttrici fondamentali: People, Planet, Prosperity, Peace e Partnership. Un modello, quello delle 5P, che chiama istituzioni, imprese e cittadini a un impegno condiviso per il futuro del pianeta. All’SDG 5 sappiamo che si affrontano proprio i target per l’equità anche di genere!
In questa cornice, anche se pochi ci pensano, il design può giocare un ruolo chiave e decisivo, contribuendo in modo sostanziale alla transizione verso modelli produttivi e di consumo più circolari, green, net-zero, clean, nature-based, responsabili, rigenerativi. Tutti concetti che rientrano sotto l’ampio ombrello della sostenibilità in cui l’Italia e le donne sono maestre.
Anche l’Europa ha rilanciato con forza l’importanza del design come leva strategica. Tra gli strumenti che hanno compiuto un salto qualitativo significativo vi è il concetto giuridico di “Ecodesign”. Nato con un approccio tecnico e limitato ai prodotti ad alto consumo energetico, l’ecodesign ha progressivamente esteso il proprio raggio d’azione grazie all’entrata in vigore nel 2024 del nuovo Regolamento UE [1], ampliando l’interesse al ciclo di vita complessivo dei prodotti e ai loro impatti ambientali.
Oggi, le politiche europee e il relativo corpus normativo si orientano verso approcci sempre più sistemici: come il design per la sostenibilità, il rethinking e il design thinking. Queste visioni superano il concetto di prodotto in sé, coinvolgendo l’intera filiera e tutti i settori del consumo e le stesse motivazioni dei consumatori. Si tratta di un’evoluzione profonda, che integra i principi del design e della sostenibilità in ogni fase progettuale, rendendoli strumenti operativi per affrontare le sfide ambientali e della società.
Per comprendere l’impatto di questo cambiamento, può essere utile rileggere il ruolo del design attraverso il modello DPSIR – Driving forces, Pressures, State, Impacts, Responses (Determinanti, Pressioni, Stato, Impatto, Risposte). Un modello sviluppato negli anni Novanta per analizzare le dinamiche tra società e ambiente ma ancora molto utile.
In questo schema, la “Risposta” ai problemi ambientali non si limita a contenere gli impatti, ma mira a un ripensamento radicale delle determinanti, le cause a monte dei fenomeni senza finire nella decrescita ma bensì ad un più alto valore aggiunto. È in questo spazio che il design, con il suo approccio critico e creativo, può offrire un contributo metodologico cruciale anche se spesso trascurato. Letto in questa prospettiva, il modello DPSIR, integrato con il concetto di Design & Rethinking, si configura come una bussola per orientare l’ecodesign e, più in generale, le strategie di sostenibilità ambientale e di innovazione. Non dimentichiamo, inoltre, che si tratta spesso anche di agire in ottica di de-risking, ossia ridurre l’esposizione alle criticità di sicurezza degli approvvigionamenti di materi prime!
Da questa concettualizzazione emerge chiaramente come il design sia una delle discipline più potenti per affrontare le sfide che la sostenibilità autentica impone. Un approccio che tiene insieme tecnologia, scienza, economia, società e cultura: i pilastri richiamati nel modello delle 5P della citata Agenza 2030 delle Nazioni Unite.
Il Design Thinking for Sustainability, inteso come processo strategico, assume così un ruolo centrale sia sul fronte della produzione che su quello del consumo, integrando innovazione tecnologica e sociale, funzionalità ed equilibrio ambientale. L’obiettivo è sviluppare soluzioni capaci non solo di ridurre i danni, ma di rigenerare i sistemi naturali ed economici rimanendo sempre forti nella leadership.
… e l’Italia e le italiane sono leader nella formazione anche universitaria nel design così come e nell’azione professionale e imprenditoriale, siamo una design economy!
[1] Regolamento (UE) 2024/1781 del 13 giugno 2024 che stabilisce il quadro per la definizione dei requisiti di progettazione ecocompatibile per prodotti sostenibili, modifica la direttiva (UE) 2020/1828 e il regolamento (UE) 2023/1542 e abroga la direttiva 2009/125/CE
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/LSU/?uri=oj:L_202401781
*Professore di Geografia dell’Ambiente e Sviluppo sostenibile, e Geopolitica e Finanza per la Cooperazione internazionale presso l’Università di Bologna e Uninettuno International University
“L’obiettivo è sviluppare soluzioni capaci non solo di ridurre i danni, ma di rigenerare i sistemi naturali ed economici rimanendo sempre forti nella leadership” è un grosso lavoro in cui ci dobbiamo impegnare tutti, giovani e meno giovani, anche nel nostro quotidiano
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